La letteratura italiana del Novecento. Viva Italia: la letteratura italiana moderna per chi vuole conoscerla meglio

L’Italia, fino a tempi recenti un faro della cultura rinascimentale e un modello che tutti gli stati europei cercarono di imitare, nei secoli XVII-XVIII. trasformati nei “cortili d’Europa”. A differenza di Inghilterra, Francia, Spagna, qui non si è formato un unico stato nazionale; il paese rimase economicamente disunito e politicamente frammentato. Ciò rese l'Italia una facile preda per gli stranieri: nei secoli XV-XVI. La Spagna prese possesso dell'intero sud Italia, comprese le isole di Sicilia e Sardegna, e nel nord della Lombardia con Milano, il Ducato di Mantova. La Toscana, Parma e la Repubblica di Genova risultarono dipendenti dalla Spagna. Il papato, fortemente contrario all'unificazione del Paese, ampliò i suoi possedimenti nel centro Italia, approfittando dell'indebolimento degli stati locali.

Sul piano sociale ed economico l’Italia stava vivendo un processo di rifeudalizzazione. Il commercio interno ed estero diminuisce, il numero delle manifatture diminuisce e i contadini sono nuovamente invischiati in numerosi obblighi feudali. Le guerre devastanti nelle quali, contrariamente ai suoi interessi nazionali, si trovò coinvolta l'Italia, completarono la rovina del Paese e l'impoverimento della popolazione. Tutto ciò creò circostanze sfavorevoli per la formazione di una scienza italiana e di una lingua nazionale unificate. I sentimenti particolaristi (parrocchiali) furono rafforzati tra ampi settori della popolazione, compresa l'intellighenzia; La maggior parte degli italiani parlava numerosi dialetti locali.

Tuttavia, dalla metà del XVIII secolo. Cominciano alcuni cambiamenti nella situazione socio-politica. Nel 1748, la pace regnò finalmente nel paese per quasi mezzo secolo. A seguito delle sconfitte militari, la Spagna, roccaforte del cattolicesimo militante e della reazione, viene privata dei suoi possedimenti italiani. Il Regno di Napoli ottiene l'indipendenza, e il nord Italia passa all'Austria, in Toscana e Lombardia sale al potere la dinastia dei Lorena, molto più propensa ad ascoltare le esigenze del secolo. Di conseguenza, nella seconda metà del secolo l'economia del paese si riprese leggermente; il commercio estero si sta sviluppando; il numero dei produttori torna ad aumentare; I rapporti borghesi, soprattutto al Nord, cominciano a penetrare sempre più l’agricoltura.

A partire dagli anni Sessanta del Settecento, in alcuni stati italiani si è instaurato un “assolutismo illuminato”: nel tentativo di rafforzare il proprio dominio, le dinastie regnanti riformano il sistema gestionale, l’apparato giudiziario, le norme giuridiche, attuano alcune riforme fiscali, ecc. della chiesa sono ovunque limitate, viene abolita l'Inquisizione, alcuni monasteri vengono chiusi e i loro beni confiscati; nel 1773 il papa fu costretto ad abolire l'ordine dei Gesuiti. Tutti questi tentativi di migliorare la salute dello stato locale, di indebolire in qualche modo il potere delle forze feudali, e in particolare della chiesa, di facilitare lo sviluppo dell'industria e del commercio non potevano minare seriamente le basi del feudalesimo e si rivelarono di breve durata : le primissime notizie della rivoluzione in Francia costrinsero i sovrani italiani a ritornare ad una politica di reazione franca e crudele.

Tutto ciò non poteva che lasciare un'impronta peculiare nella cultura italiana. Tutto il Quattrocento e i primi decenni del Settecento. - un periodo di profonda stagnazione e declino della cultura. Ancora in letteratura per molto tempo gli epigoni del Barocco, che si sforzavano di creare cultura d'élite. Solo pochi esponenti della scienza e dell'arte riconobbero la necessità di un suo rinnovamento e, alla ricerca di modi per realizzare questo compito, si rivolsero all'esperienza della Francia e dell'Inghilterra, dove la filosofia, la scienza, la letteratura e l'arte dell'Illuminismo si erano già affermate .

A differenza dell'Inghilterra e della Francia, l'Illuminismo italiano non creò una propria base filosofica e fu guidato dalle conquiste della filosofia europea. Allo stesso tempo, l'immaturità e i limiti dell'Illuminismo in Italia si esprimevano nel fatto che, di regola, veniva data preferenza alle dottrine più moderate. Pertanto, il deismo fu preferito all’ateismo e le visioni idealistiche furono preferite al materialismo. Nella prima metà del XVIII secolo. Dominò la filosofia cartesiana e, nella seconda metà del secolo, il sensazionalismo. In generale, le figure dell'Illuminismo italiano hanno prestato primaria attenzione non alla giustificazione teorica della necessità di una radicale ricostruzione sociale, ma allo studio di modi specifici per trasformare l'economia, il diritto, l'etica e la cultura. Nelle condizioni dell'Italia arretrata, gli illuministi non furono in grado di superare il divario che li separava dalla gente e di comprenderne i veri bisogni e aspirazioni. Si limitarono a chiedere riforme molto moderate, riponendo tutte le loro speranze il più delle volte nel monarca “illuminato”. Nel corso della sua evoluzione, l’Illuminismo italiano fu elitario e tiepido.

L’istruzione in Italia si è sviluppata relativamente tardi. Nella prima metà del XVIII secolo. in Italia ci furono solo singoli pensatori che si resero conto della necessità di trasformare la società italiana secondo le leggi della ragione e della natura. Il movimento educativo acquisì in Italia una scala relativamente ampia solo nella seconda metà del secolo. Il successivo sviluppo dell'Illuminismo italiano determinò, in particolare, l'orientamento cosmopolita di molte figure culturali verso l'esperienza letteraria ed estetica dell'Europa e spesso una sottovalutazione della tradizione culturale nazionale.

La successiva formazione dell'Illuminismo italiano fece anche sì che in Italia non vi fosse alcun cambiamento più o meno consistente nelle tendenze letterarie. Il classicismo illuminista nacque qui quasi contemporaneamente al sentimentalismo; Spesso le caratteristiche di queste tendenze sono strettamente intrecciate nel lavoro di un artista.

L'Illuminismo italiano è caratterizzato da un diverso tipo di evoluzione: si riscontra innanzitutto in vari studi scientifici: storici, economici, giuridici, estetici. La produzione artistica degli illuministi italiani appare più tardi e su un terreno già preparato dagli scienziati.

Tra i tanti nomi brillanti che glorificarono la scienza italiana in questo periodo, si possono citare gli economisti Ferdinando Galiani, Pietro Verri, capo del primo dipartimento di economia politica in Italia Antonio Genovesi, lo storico e filologo Antonio Muratori, i filologi Giovan Maria Crescimbeni, Francesco Saverio Quadrio, Gian Vincenzo Granina, l'autore dell'importante “Storia della letteratura italiana” Girolamo Tiraboski e altri, tra cui spiccano i nomi di tre eminenti scienziati: D. Vico, P. Giannone, C. Beccaria.

Giambattista Vico (1668–1744) entrò nella storia del pensiero scientifico con il suo saggio “Fondamenti di una nuova scienza della natura generale delle nazioni” (1725), in cui formulò l'idea di un modello nell'evoluzione storica dell'umanità , passando attraverso tre fasi successive nel suo sviluppo: "l'età degli dei" "(famiglia-clan primitiva), "l'età degli eroi" (repubblica aristocratica), "l'età del popolo" (repubblica "popolare"), fino a trovare la salvezza dai conflitti interni alla monarchia. La concezione di D. Vico aveva un peculiare storicismo razionalistico.

Se il libro di Vico gettò le basi della moderna filosofia della storia, allora le opere di Muratori, Giannone e di altri suoi contemporanei rappresentarono un tentativo di ripensare la storia d'Italia. Pietro Giannone (1676–1748), di formazione avvocato, divenne famoso per la sua “Storia civile del Regno di Napoli” (1703–1723) in quattro volumi, in cui denunciava l'usurpazione dei diritti civili da parte della Chiesa e le sue conseguenze negative ruolo nella vita politica italiana. Per questo libro Giannone fu scomunicato dalla chiesa e nel 1736 fu gettato in prigione, dove trascorse 12 anni.

D. Vico e P. Giannone non possono che essere definiti precursori dell'Illuminismo; Le opere di Cesare Beccaria (1738–1794), in particolare il suo famoso trattato “Dei delitti e delle pene” (1764), sono tra i fenomeni più notevoli del pensiero educativo europeo. Basandosi sulla teoria educativa del “diritto naturale”, Beccaria pretese l’attuazione del principio di uguaglianza di tutti davanti alla legge, la privazione della nobiltà e del clero di ogni privilegio di classe, l’indipendenza della corte dal potere statale, l’abolizione pena di morte, ponendo così le basi della scienza giuridica borghese.

Non importa quanto diverse fossero le posizioni di questi e di altri scienziati italiani dell'epoca, erano tutti uniti da un comune rifiuto del vecchio ordine stabilito, dal desiderio di trasformazioni pacifiche della realtà italiana secondo le leggi della ragione. Come ho scritto famoso storico Letteratura italiana F. De Sanctis, in quest'epoca “tutto era assolutamente riformabile... tutti gli ordini sociali erano messi in discussione... La letteratura antica nella sua forma precedente non poteva essere conservata: anch'essa aveva bisogno di riforme”.

I primi, timidissimi tentativi di riforma letteraria risalgono al periodo fine XVII V. Nel 1690 a Roma, artisti - amanti della letteratura, poeti e filologi Crecimberi, Gravina e altri crearono l'Accademia Letteraria Arcadica. Si prefissero come obiettivo la lotta contro il “marinismo”, la versione italiana della poesia barocca, caratterizzata da estrema raffinatezza e complessità della forma poetica. Contrastavano questa poesia con la poetica normativa del classicismo, cercando soprattutto di sostenere artificialmente la tradizione pastorale di lunga data. Nonostante la ristrettezza del programma estetico, l'Arcadia ebbe un ruolo importante nella vita letteraria d'Italia: i suoi rami sorsero in molte città, attorno alle quali si raggrupparono figure culturali di spicco. Nella seconda metà del secolo l'Arcadia fu sostituita da associazioni molto più attive di educatori letterari, ad esempio l'Accademia Granelleschi (“chiacchieroni”) di Venezia e l'Accademia Trasformati (“trasformati”) di Milano, ecc.

Tra i membri più famosi dell'Arcadia nel periodo di massimo splendore della sua attività fu il più grande scrittore della prima metà del XVIII secolo. Pietro Metastasio (Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi, 1698–1782).

Dopo la prima esperienza infruttuosa di scrittura di una tragedia classicista e di pubblicazione di una raccolta di poesie, Metastasio si rivolse a un genere che a quel tempo godeva di un enorme successo in Italia e all'estero: l'opera. Il libretto dell'opera, che fino ad allora era stato realizzato per la maggior parte da artigiani senza talento e che non si preoccupavano troppo della verosimiglianza della trama, della fedeltà dei personaggi o dei meriti letterari del testo poetico, sotto la penna di Metastasio raggiunse il livello di grande arte. Metastasio divenne un vero riformatore del genere. Come scrisse il critico teatrale russo S. S. Mokulsky, Metastasio “trovò immediatamente il segreto per influenzare i suoi contemporanei, sentì la loro sete di emozioni sentimentali, che l'opera barocca non poteva placare. Allo stesso tempo, Metastasio qui si avvicina al rigore, alla misura e all’armonia della tragedia classica, spostando il baricentro sulle esperienze interiori degli eroi e riducendo al minimo l’elemento dell’azione esterna”.

Già nel primo periodo della sua opera (1724-1730), Metastasio creò due tipologie principali dei suoi libretti: l'opera sentimentale, in cui la cosa principale non sono gli intrighi tempestosi, ma le collisioni psicologiche vissute dai personaggi (come, ad esempio, , l'opera “L'Abbandonata Didone”, 1724, dove drammatizzò il famoso episodio dell'amore di Enea e Didone dall'Eneide di Virgilio), e l'opera eroica che glorifica le alte virtù civiche degli eroi romani (ad esempio, Catone Utico, 1727, in quale pathos di lotta contro il tiranno risuonava chiaramente). Metastasio raggiunse l'apice della sua creatività negli anni Trenta e Quaranta del Settecento, quando divenne il librettista ufficiale dell'Opera Imperiale di Vienna. Tra i suoi migliori esempi di quegli anni ci sono l'opera sentimentale "Olympiad" (1732) e l'opera eroica "La Clemenza di Titus" (1734), che è vicina nella trama a "Cinna" di Corneille. Libretto ultima opera Voltaire lo elogiò e in Russia fu tradotto da G. R. Derzhavin e rivisto da Ya. B. Knyazhnin.

Metastasio aveva anche uno straordinario talento lirico. Pubblicò molte odi e serenate, ma il suo genere preferito di poesie liriche erano le “canzonette”, canzoni liriche che cantavano amore e piaceri sensuali. Altri poeti dell'Arcadia, tra cui il romano Paolo Rolli (Paolo Rolli, 1687–1765); Anche il genovese Carlo Innocenzio Frugoni (1692–1768), proprietario anche di numerosi poemi, canzoni e sonetti eroici e religiosi, rese omaggio a questo genere nei suoi poemi erotici. L’originalità delle migliori “canzonette” di Metastasio sta nel fatto che egli univa in esse la raffinatezza aristocratica con l’ingenua ingenuità della poesia popolare.

In generale, come giustamente sosteneva F. De Sanctis, l’opera di Metastasio rappresentava un “passaggio dalla vecchia letteratura alla nuova”. Gli illuministi però non accettarono né il genere dell'opera, né, soprattutto, l'elegante ma leggera “canzonetta”. Negli ultimi decenni di vita di Metastasio la sua opera conobbe un declino.

Illuministi della seconda metà del XVIII secolo. è entrato nella letteratura con la decisa intenzione di combattere tutto ciò che è diventato obsoleto, per aprire la strada all'instaurazione del regno della Ragione. Non è un caso che si siano rivolti ad armi militari come il giornalismo. Se nella prima metà del XVIII secolo. Esisteva un solo organo stampato serio (il Giornale degli scrittori italiani, pubblicato dal predecessore di Metastasio, l'apostolo Zenone nel 1710-1718), ma nella seconda metà del secolo furono pubblicate decine di riviste e giornali. Particolarmente Ruolo significativo Quattro periodici hanno avuto un ruolo nella promozione delle idee dell'Illuminismo e nella lotta contro la vecchia società "irragionevole". Due di essi furono pubblicati a Venezia da Gasparo Gozzi (1713–1786), fratello del celebre drammaturgo: si tratta del “Giornale Veneziano”, pubblicato nel 1760–1762. e che, oltre a note polemiche sulla letteratura e sull'arte, conteneva vari saggi di morale, favole, discussioni didattiche, ecc., e “The Venetian Spectator”, in cui Gozzi si fece guidare dall'esperienza letteraria della rivista di Steele “The Spectator. " Un orientamento fortemente accusatorio, del tutto coerente con il nome - "Flagello letterario" - era caratteristico del periodico pubblicato nel 1763-1765. il magnifico scrittore satirico e critico Giuseppe Baretti (1719–1789). Quella di carattere più radicale fu la rivista “Cafe” (1764–1766), che prese il nome dall'omonima cerchia di educatori milanesi, nella quale furono protagonisti i fratelli Pietro e Alessandro Verri (Pietro Verri, 1728–1797; Alessandro Verri, 1741–1816). Secondo la giusta opinione del ricercatore sovietico B. G. Reizov, gli autori e i redattori delle riviste sopra menzionate erano molto diversi tra loro, ma “discutevano principalmente su quali mezzi potevano essere utilizzati per raggiungere un obiettivo comune. Queste controversie, che a volte diventavano più acute, erano necessarie e utili perché ciascuna parte completava l’altra e correggeva gli eccessi che potevano nuocere alla causa comune. “Tutti insieme hanno sviluppato il problema e hanno spostato il pensiero nella direzione desiderata.”

Nella poesia, questo compito fu portato a termine con maggior successo dalla generazione che entrò nella letteratura negli anni Sessanta e Settanta del Settecento. Uno dei primi a ridicolizzare la vecchia società “irragionevole” nell'epopea comica “Vita di Cicerone” (pubblicata nel 1755) e nelle “Favole di Esopo” (pubblicata nel 1778) fu il poeta milanese Gian Carlo Passeroni (1713–1803). ). Ciò che ha fatto ridere Passeroni, ha suscitato indignazione nel suo seguace Parini.

Giuseppe Parini (1729–1799), figlio di un modesto commerciante di provincia, studiò a Milano e qui, all'età di 25 anni, fu ordinato sacerdote. Pubblicò la sua prima raccolta, “Arcadian Poems”, nel 1752; come indicato dal titolo, comprendeva poesie scritte secondo il programma estetico dell'Arcadia. Ma presto ruppe decisamente con le tradizioni arcadiche, si unì al circolo radicale degli illuministi milanesi - l'Accademia dei Trasformati, e tra il 1757 e il 1795 creò circa 20 odi, dedicate principalmente al destino della patria e alle idee di libertà, uguaglianza, dignità umana; tali, ad esempio, sono le odi “Country Life” (1758), che glorificano la dignità morale di una persona allevata al lavoro nel grembo della natura; “Educazione” (1764), che stabilisce un programma per l'educazione umanistica dell'individuo; ode “Povertà” (1765), in cui l'autore con grande simpatia descrive lo sfortunato destino del povero, che la povertà spinge al crimine, ecc.

L'opera più famosa di Parini è il poema ironico “Il Giorno”, al quale il poeta lavorò per molti anni. Le prime due parti - "Mattina" e "Pomeriggio" - apparvero rispettivamente nel 1763 e nel 1765; il terzo, “Sera”, rimasto incompiuto, fu pubblicato insieme ai frammenti del quarto, “Notte”, solo postumo, nel 1801-1804. La trama della poesia è la storia di una giornata quotidiana di un giovane aristocratico ozioso. Sotto la penna di Parini, la poesia si trasforma, come dice giustamente un ricercatore, in una “enciclopedia della vita dell’alta società”. Il vero contenuto della poesia, tuttavia, è più ampio di un'esposizione della morale di un giovane aristocratico-fannullone, anche se tipico. In sostanza, la poesia di Parini è un atto d'accusa contro una società decrepita, decadente, ma ancora “giovane”. Il poeta sceglie il sarcasmo e l'ironia come principali armi di denuncia; L'effetto satirico è raggiunto nella poesia da un doppio contrasto: contenuto, dove il lusso dell'ambientazione non fa altro che accentuare l'insignificanza dell'eroe, e forma, in cui nasce un'antitesi tra lo stile pomposo della narrazione e l'insignificanza, insignificanza del atti descritti.

Il famoso drammaturgo, creatore della tragedia educativa italiana Vittorio Alfieri (1749–1803; per quanto riguarda il drammaturgo, vedi il capitolo 15 su di lui) fu anche un poeta straordinario. Ha lasciato circa 200 sonetti, una poesia in 4 canzoni “Avenged Etruria”, 16 satire, 5 odi e numerosi epigrammi. Nelle sue odi e satire, non solo denuncia l'antica società feudale, ma ne chiede anche la distruzione, una lotta attiva contro la tirannia. Risponde calorosamente ai cambiamenti rivoluzionari nel mondo, accogliendo con favore, ad esempio, l'indipendenza delle colonie nordamericane dell'Inghilterra nell'ode "America libera" (1777) e la vittoria del popolo rivoluzionario a Parigi (la poesia "Parigi senza il Bastiglia”, 1789). Dopo aver salutato con entusiasmo la Rivoluzione francese, successivamente, come molti altri intellettuali europei, non capì e non accettò il terrore giacobino. La delusione dello scrittore per la rivoluzione fu espressa nella raccolta “Mizogall” (“Gallohater”, 1799), una raccolta eterogenea di opuscoli, satire, epigrammi, uniti solo da un comune rifiuto della “marmaglia”, che oscurava gli alti ideali di l'Illuminismo e la libertà con la loro crudeltà.

Tra i tipi di letteratura, la prosa in generale e il genere del romanzo in particolare sono i meno rappresentati nell'Illuminismo italiano. E questa era una prova convincente dell’immaturità e dei limiti della letteratura educativa italiana. Dai romanzieri del XVIII secolo. Si può citare Pietro Chiari (1711–1785), oggi non del tutto meritatamente dimenticato. Tra le tante storie assolutamente incredibili, avventure stravaganti di eroi non meno stravaganti, che Chiari racconta nei suoi numerosi romanzi, ci sono diverse opere in cui immagini inaspettatamente vivide della morale moderna si fanno strada attraverso il caos degli eventi e contengono persino un accenno di critica sociale. (ad esempio, il romanzo “La francese in Italia”, 1759). Di grande interesse sono anche il romanzo “L’uomo di un altro mondo” (1760), romanzo utopico di stampo rousseauista, e il romanzo “La donna scomparsa” (1762), chiara imitazione de “La nuova Eloisa”. Ma anche queste poche opere romantiche conservano un interesse piuttosto storico. Molto più significativi sono i numerosi esempi di prosa documentaria: appunti di viaggio, carteggi, memorie, ecc. Delle tante opere simili presenti in Italia, si possono notare solo poche che hanno conservato valore non solo come documenti dell'epoca, ma anche come panorama pittoresco del presente. Queste sono le “Lettere private” (1762–1763) di Giuseppe Baretti, azzeccate e caustiche analisi comparativa vita d'Italia e d'Inghilterra; la corrispondenza di Francesco Algarotti, studioso illuminista di fama universale, le cui lettere contengono descrizioni colorite della Prussia, di Parigi, di Londra e di San Pietroburgo, da lui visitate; Di particolare interesse sono le “Memorie” (1787) di Carlo Goldoni, le “Memorie inutili” (1795) di Carlo Gozzi e la “Vita” (1806) di Vittorio Alfieri, che contengono ricchissimo materiale sulla vita letteraria e teatrale italiana e servono come strumento prezioso per chiunque si rivolga allo studio di questi drammaturghi, la cui opera costituisce l'apice della letteratura educativa in Italia.

- opere scritte in italiano principalmente da italiani, nonché da autori di altre nazionalità residenti nel territorio dell'Italia moderna. Letteratura italiana ha una storia lunga e influente. A questo punto, quasi tutte le opere letterarie del Medioevo erano scritte in latino. Inoltre, questi lavori erano principalmente pratici: i loro autori hanno studiato nelle scuole teologiche. La letteratura italiana si è sviluppata più tardi di quella francese e provenzale (rispettivamente le lingue del nord e del sud della Francia). Sono stati ritrovati solo piccoli frammenti di poesia popolare italiana prima della fine del XII secolo (sebbene numerosi documenti legali contenessero sezioni in italiano).
Immagine da un manoscritto del XIV secolo di Boezio che insegna ai suoi studenti (1385). Dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente, la tradizione latina fu sostenuta da molti scrittori e poeti. Le discipline umanistiche fiorirono a Ravenna, e i re goti si circondarono di maestri di retorica e di grammatica.
Gli italiani interessati alla teologia accorsero a Parigi. Quelli che restavano solitamente studiavano diritto romano. Ciò contribuì alla creazione di università medievali a Bologna, Padova, Napoli, Salerno, Modena e Parma. Aiutarono a diffondere la cultura e prepararono il terreno su cui avrebbe potuto svilupparsi la nuova letteratura popolare. Le tradizioni classiche non scomparvero e la devozione alla memoria di Roma, la preoccupazione per la politica e il primato della pratica sulla teoria si unirono per influenzare lo sviluppo della letteratura italiana.
A differenza di altri paesi, l'Italia non aveva abbastanza leggende, storie, poemi epici e satira, quindi la letteratura italiana fu inizialmente fortemente influenzata da fonti straniere. Historia de excidio Trojae, che è attribuito a Dares di Troia, il quale affermò di essere stato testimone oculare della guerra di Troia. Ha dato ispirazione ad autori di altri paesi come Benoit de Saint-Maur, Herbort von Fritzlar e Kondrad von Würzburg. Mentre Benoist scriveva in francese, prendeva il suo materiale dalla storia latina. Herbort e Conrad hanno utilizzato la fonte francese per fare dell'opera quasi originale la propria lingua. Guido delle Colonna di Messina, uno dei poeti della scuola siciliana, compose una poesia Historia Destructionis Troiae. Nella sua poesia Guido imitò la poesia provenzale, ma in questo libro trasformò il romanzo francese di Benoit in una storia romana dall'aspetto serio.
Quasi la stessa cosa è successa con altre grandi leggende. Qualicino Arezzo scrisse un distico in rima basato sulla leggenda di Alessandro Magno. L'Europa era piena delle leggende di Re Artù, ma gli italiani si accontentarono della traduzione e della riduzione dei romanzi francesi.
La lingua latina non è scomparsa in Italia. L'uso dei dialetti autoctoni nella letteratura italiana era inizialmente raro, per lo più utilizzava il francese o il provenzale. Molti furono gli italiani che scrissero poesie provenzali, come il marchese Alberto Malaspina (XII secolo), il maestro Ferrari Ferrara, Cigala di Genova, Corsi di Venezia, Sordello, Buvarelo di Bologna e altri. La loro poesia d'amore abituava le persone a nuovi suoni e armonie.
Allo stesso tempo, la poesia epica era scritta in una lingua mista: un dialetto italiano mescolato con il francese. Le parole ibride venivano lette secondo le regole di entrambe le lingue; queste parole avevano radici francesi e desinenze italiane. In breve, i poemi epici erano scritti in un linguaggio ibrido. Tutto ciò ha preceduto l'emergere della letteratura esclusivamente italiana.
Influenza francese
La prosa francese e i romanzi cavallereschi erano popolari in Italia tra il XII e il XIV secolo. Le storie dei cicli carolingio e arturiano venivano spesso lette da persone alfabetizzate e i menestrelli francesi recitavano poesie nei luoghi pubblici di tutto il nord Italia.
Nel XIII secolo si sviluppò una letteratura "franco-veneziana", per lo più anonima; Gli italiani copiarono le storie francesi, spesso adattando ed espandendo alcuni episodi, e talvolta creando nuove opere basate su quelle francesi.
Sebbene questa letteratura fosse scritta in francese, gli autori spesso introducevano consciamente o inconsciamente elementi dei propri dialetti dell'Italia settentrionale, creando un ibrido linguistico. Autori di importanti opere in prosa, come il veneziano Martino da Canal e il fiorentino Brunetto Latine (le loro opere più famose "Les estoires de Venezia " (1275; "Storia di Venezia") e "Livres dou tresor" (1260; "Libri dei tesori") di conseguenza) - conoscevano la lingua francese meglio di poeti come, ad esempio, Sordello Mantova, che scriveva poesie in provenzale. Le poesie d'amore provenzali erano praticamente altrettanto popolari quanto i romanzi francesi.
scuola siciliana
Palazzo dei Normanni, uno dei luoghi in cui Federico II teneva convegni di poeti. Nell'ambiente culturale della corte siciliana dell'imperatore del Sacro Romano Impero Federico II di Hohenstaufen, che governò il regno di Sicilia dal 1208 al 1250, i testi venivano scritti in una versione purificata della lingua locale dialetto. La poesia era considerata una decorazione del cortile e una via di fuga dai problemi della vita.
Il più importante di questi poeti fu il notaio Jacopo da Lentini, considerato l'inventore di una sorta di sonetto. Purtroppo tutta la poesia della scuola siciliana si è conservata solo in copie tarde toscane, che presentano una somiglianza con la lingua italiana moderna maggiore di quanto non fosse in realtà.
Poeti toscani
La poesia siciliana continuò ad essere scritta dopo la morte di Federico II, ma il centro dell'attività letteraria si spostò in Toscana, dove l'interesse per la poesia lirica provenzale e siciliana portò il poeta toscano Guittone d'Arezzo e i suoi seguaci a imitarla. forme complesse di versi, secondo Dante in De vulgari eloquentia,"la sua parlata mescolava elementi dialettali di latinismi e provenzali e non aveva la bellezza della scuola meridionale." Guittone fu infatti un poeta energico e complesso la cui fama non resistette all'influsso di Dante.
Un nuovo stile
Mentre Guittone e i suoi seguaci stavano ancora scrivendo, emerse una nuova direzione nella poesia d'amore, caratterizzata da una preoccupazione per affermazioni precise e sincere e da un nuovo, serio atteggiamento nei confronti dell'amore. Divenne generalmente accettato chiamare questa scuola Dolce Stil Nuovo o novo ("dolce nuovo stile"), espressione usata da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio, Canto XXIV, verso 27), dove ha sottolineato la delicatezza di un'affermazione adeguata all'oggetto dell'amore. I principali poeti di questa scuola furono il bolognese Guido Guinitzelli, Guido Cavalcanti, Dante, insieme ai poeti meno conosciuti Lapo Gianni, Gianni Alfano e Dino Frescobaldi.
Questi poeti sono stati influenzati reciprocamente dalle opere. Guido Guinitzelli è meglio conosciuto per la sua canzone o poesia chiamata “Al cor gentil rempaira semper amore” (“L’amore trova sempre rifugio nel buon cuore”), che formulava la questione del rapporto problematico tra amore per la donna e amore per Dio. La sua poesia fu molto apprezzata da Cavalcanti, paroliere serio e di grande talento. La maggior parte delle poesie di Cavalcanti erano tragiche e negavano l'effetto nobilitante dell'amore proposto da Guiniceli. Dante teneva molto a Cavalcanti, che in seguito chiamò il suo "primo amico", ma il suo concetto di amore, che ispirò il suo amore per Beatrice, morta giovane (nel 1290), aveva poco più in comune con i concetti di Guiniceli. Vita nuova Dante (1293; Nuova vita) è una storia retrospettiva del suo amore in poesie precedentemente composte collegate tra loro.
Versetto comico
Poesia giocosa(verso realistico o comico) era in completo contrasto con la poesia d'amore seria. Il linguaggio era spesso volutamente rozzo, colloquiale e talvolta indecente. Questo tipo di poesia appartiene ad un'antica tradizione europea nata nei secoli XII e XIII, quando i poeti componevano poesie in latino in lode dello spettacolo, della denigrazione delle donne, della loro nemici personali o chiese. Sebbene i personaggi dei poeti di questa scuola fossero spesso rozzi, persino crudeli, i poeti comici, la cui forma abituale di poesia era il sonetto, erano uomini colti, letterati, e non ribelli proletari come credevano i loro critici.
Il primo poeta di questo genere fu Rustico di Filippo, che scrisse come squisito poesia d'amore e poesie volgari, a volte indecenti, di tipo “realistico”. Il poeta più famoso che scrisse poesie comiche fu Cecchi Angiolieri, la cui amata Becchina era una parodia delle divine donne del nuovo stile.
Letteratura religiosa
Nel XIII secolo si ebbe in Italia un movimento religioso con la nascita degli ordini domenicano e francescano. Anche Francesco d'Assisi, mistico e riformatore della Chiesa cattolica, fondatore dell'Ordine francescano, scrisse poesie. Sebbene fosse istruito, la poesia di Francesco era meno raffinata dal linguaggio colloquiale rispetto al lavoro dei poeti della corte di Federico II. Secondo la leggenda, Francesco dettò un inno in chiesa Cantico del Sole nel diciottesimo anno del suo pentimento è quasi immerso nell'estasi, ma restano dubbi sull'attendibilità di questa leggenda. Fu la prima grande opera poetica dell'Italia settentrionale, scritta in una forma in versi improntata alla consonanza, metodo poetico diffuso nel Nord Europa. Altre poesie precedentemente attribuite a Francesco sono ora riconosciute come insufficientemente affidabili.
Jacopone da Allora fu un poeta rappresentativo dei sentimenti religiosi, che ebbe grande successo in Umbria. Jacopone era ossessionato dal misticismo di San Francesco, ma era anche un autore satirico che ridicolizzava la corruzione e l'ipocrisia della Chiesa. Quando morì la moglie di Jacopone, guai a lui morte improvvisa lo costrinse a vendere tutto ciò che possedeva e a dare il ricavato ai poveri. Jacopone si coprì di stracci ed entrò nel Terz'Ordine di San Francesco. Durante il tragitto fu accompagnato da una folla di persone che lo prendevano in giro e urlavano Jacopone, Jacopone. Continuò per anni il suo delirio, sottoponendosi alle più dure sofferenze, e dando sfogo all'ebbrezza religiosa nelle sue poesie. Jacopone era un mistico che guardava il mondo attraverso la sua cella da eremita.
Nell’Italia settentrionale, la poesia religiosa era prevalentemente moralistica e intrisa di pessimismo, radicata in idee eretiche derivanti dal manicheismo. Poeti eccezionali di questo genere furono Bonvensin de la Riva (Libro delle tre scritture, t. "Il Libro dei Tre Sacri Scritture"), Giacomino da Verona, autore De Gerusalemme celeste ("SU Celeste Gerusalemme") e De Babilonia civitate infernali ("SU Terra infernale babilonese »).
Prima prosa
La prosa popolare letteraria italiana iniziò nel XIII secolo, sebbene il latino continuasse ad essere usato per scrivere opere di teologia, filosofia, diritto, politica e scienza.
Il fondatore dello stile di prosa artistica italiano, il professore bolognese di retorica, Bay Faba, che illustrò le sue storie con esempi tradotti dal latino. Guittone d'Arezzo, il suo seguace più famoso, propendeva per uno stile lussureggiante pieno di immagini retoriche. In contrasto con lo stile di Guittone, Ristori d'Arezzo scriveva in una prosa chiara e scientifica. (Della composizione del mondo, T. "Sulla costruzione del mondo") Un capolavoro della prosa del XIII secolo – Vita nuova Dante. Dante univa la semplicità con grande grazia ed energia poetica.
Il XIV secolo è considerato l'inizio del Rinascimento in Italia. I tre principali autori di questo periodo sono Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio.
Dante
Dante Alighieri Dante Alighieri è uno dei nomi più importanti e influenti di tutta la letteratura europea, ma scrisse tutte le sue opere solo dopo essere stato espulso dalla nativa Firenze all'età di 37 anni (1302). Trattato Il convivio (1304-07; "Banchetto") dimostrò una conoscenza approfondita della filosofia scolastica e fu il primo grande trattato scritto in volgare: il suo linguaggio evitava l'apertura autori popolari e l'artificiosità dei traduttori dalla lingua latina. De vulgari eloquentia ("Sull'eloquenza del popolo")- un trattato scritto nello stesso periodo, ma in latino, conteneva la prima discussione teorica e definizione dell'italiano lingua letteraria. Entrambe queste opere rimasero incompiute. In un'opera dogmatica successiva, sempre in latino, Della monarchia(scritto nel 1313), Dante delinea le sue teorie politiche descrivendo il coordinamento di due poteri medievali, il papa e l'imperatore.
La Divina Commedia
Il genio di Dante si è pienamente dimostrato nel suo Divina Commedia(1308-21; Divina Commedia), poema allegorico scritto in terza (strofe di tre versi di 11 composizioni ciascuna, rima aba, bcb, cdc, ecc.), capolavoro letterario del Medioevo e una delle migliori opere in tutta la storia dell'umanità. La poesia racconta il viaggio del poeta attraverso i tre regni dei morti: Inferno, Purgatorio e Paradiso sotto la guida del poeta romano Virgilio. Ogni sezione è composta da 33 brani. Il significato allegorico è nascosto nel profondo della poesia stessa. Dante, viaggiando attraverso l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, è un simbolo dell'umanità, con l'obiettivo di raggiungere la felicità temporanea ed eterna. La foresta in cui si perse il poeta simboleggia i disordini sociali e religiosi in una società privata di due leader, l'imperatore e il papa. Una montagna illuminata dal sole è una monarchia universale. Le tre bestie sono i tre difetti e le tre forze che crearono i maggiori ostacoli alle intenzioni di Dante. Virgilio rappresenta la ragione e l'impero. Beatrice è simbolo dell'aiuto soprannaturale, senza il quale l'uomo non può raggiungere il fine più alto, che è Dio.
Il merito della poesia non sta nell'allegoria, che la collega ancora alla letteratura medievale. Dante è rinomato per la grandezza e la delicatezza della sua arte. Trasse materiale per le sue poesie dalla teologia, dalla filosofia, dalla storia e dalla mitologia, ma soprattutto dalle sue stesse passioni, dall'odio e dall'amore. Il periodo successivo alla stesura del poema è considerato il periodo rinascimentale nella letteratura italiana. Quest'opera è stata scritta durante il periodo romantico e continua a influenzare poeti moderni sia in Italia che all'estero.
Petrarca
Petrarca, in un affresco di André di Bartoli di Barghiglia (1450 circa) I robot intelligenti di Francesco Petrarca erano letterari e retorici piuttosto che logici e filosofici, le sue opinioni politiche erano più avventurose di quelle di Dante. L'influenza di Petrarca sulla letteratura fu enorme, dagli umanisti italiani del secolo successivo ai poeti e agli scienziati di tutta l'Europa occidentale. Rifiutò la scolastica medievale e prese come modello gli autori romani classici. Questa convergenza di interessi è evidente nelle sue opere etiche e religiose. Gli ideali umanistici hanno ispirato la sua poesia "Africa" ​​(1338) e opere storiche, ma il dialogo autobiografico Secretum meum(1342-58) è il più importante per una piena comprensione dei suoi ideali contrastanti. Il Canzoniere è una raccolta di sonetti, canzoni, sestine, ballate e madrigali ai quali lavorò instancabilmente dal 1330 fino alla morte. Sebbene questa raccolta di poesie popolari avesse lo scopo di raccontare la storia del suo amore per Laura, in realtà si trattava di un'analisi non del vero amore, ma di una passione che aveva superato. Oltre al Canzoniere, Petrarca scrisse un poema allegorico Trionfi(1351-74; Trionfi) nella tradizione medievale, ma mancava dell'ispirazione morale e poetica del grande poema di Dante.
Il fenomeno letterario noto come petrarchismo si diffuse durante la vita del poeta e continuò a crescere nei tre secoli successivi, influenzando profondamente le letterature di Italia, Spagna, Francia e Inghilterra.
Boccaccio
Ritratto di Giovanni Boccaccio Presto opere di Boccaccio erano esclusivamente letterari, senza alcun significato didattico. La sua prima opera in prosa, Il filocolo ("Lavoro d'amore"), proviene da un romanzo francese Floire et Blancheflor ed è stato un importante esperimento letterario. L'incapacità di scrivere su scala epica era evidente in due delle sue poesie Il filostrato (1338), "Triste d'amore") E Teseida. Decameron (1348-53; "Decamerone") una raccolta in prosa di 100 storie raccontate da dieci narratori - 3 uomini e 7 donne in 10 giorni, fu l'opera più matura e più importante di Boccaccio. Il suo atteggiamento nei confronti della società urbana moderna variava dall'umorismo al tragico. Stilisticamente è l'esempio stesso della prosa classica italiana, questa raccolta ha avuto un'enorme influenza anche sulla letteratura rinascimentale.
Seguace di Petrarca, Boccaccio condivideva gli interessi degli umanisti del suo tempo, come dimostrano le sue epistole latine e i trattati enciclopedici. Essendo un ardente sostenitore di Dante, scrisse anche "Trattato in lode di Dante".
Giornata dell'umanesimo
Il Rinascimento europeo (“rinascita” del passato classico) iniziò in realtà in Italia nel XIV secolo con l'avvento di Petrarca e Boccaccio. Il XV secolo fu molto importante, poiché fu il secolo in cui si abbracciò una nuova visione della vita umana concetto diverso gli esseri umani, così come i moderni principi etici e politici, trovano gradualmente la loro espressione. Ciò fu il risultato, da un lato, di una situazione politica completamente diversa da quella dei defunti e, dall'altro, della riscoperta dell'antichità classica. Riguardo al primo punto, nel XV secolo quasi tutti i principi italiani erano in competizione tra loro: sostenevano la cultura promuovendo la ricerca, offrendo ospitalità e sostegno economico ai letterati del loro tempo, fondando biblioteche. Di conseguenza, le loro corti divennero centri di studio e di discussione, e resero quindi possibile una grande rinascita culturale. Le corti più famose furono quelle principesche di Firenze, sotto Lorenzo "Il Bello" Medici; Napoli; Milano, prima sotto il Visconte e poi sotto gli Sforza, e infine la corte papale di Roma, che fornì protezione e sostegno un largo numero Scienziati italiani e bizantini. Per quanto riguarda il secondo punto, la ricerca dei manoscritti perduti di autori antichi iniziata da Petrarca nel secolo precedente portò ad uno straordinario risveglio dell'interesse per l'antichità classica, in particolare molte ricerche furono dedicate alla filosofia antica, in particolare a Platone, fatto che ebbe un profondo impatto sulla riflessione sul Rinascimento in generale.
In generale, la nuova cultura del XV secolo fu una rivalutazione dell'uomo. L'umanesimo si oppose all'immagine medievale dell'uomo come essere di relativamente poca importanza. Gli artisti del Rinascimento la lodavano come il centro dell'universo, la potenza della sua anima come unione del temporale e dello spirituale, e la vita terrena come il regno in cui l'anima esercita i suoi poteri. Questi concetti, che scaturirono soprattutto dal nuovo interesse per Platone, furono oggetto di numerosi trattati, i principali dei quali di Giannozzo Manetti De dignitate et excellia hominis(terminato nel 1452, "Sulla dignità dell'uomo") di Giannozzo Menetti e Oratio de hominis dignitate(scritta nel 1486; “Orazione sulla dignità dell'uomo”) di Giovanni Pico della Mirandola. In questo periodo si evolve la visione umanista, che condanna molte delle visioni religiose del Medioevo ancora diffuse: gli ideali monastici di isolamento e indifferenza verso gli affari del mondo, ad esempio, furono criticati da Leonardo Bruni, Lorenzo Valla e Gian Francesco Poggio Brachiolini. Nonostante questi attacchi, l’umanesimo non era essenzialmente anticristiano perché rimaneva generalmente devoto alla fede cristiana.
Nella prima metà del XV secolo gli umanisti, con il loro entusiasmo per il latino e Letteratura greca, il disprezzo era riservato ai dialetti vernacolari italiani. Scrissero principalmente in prosa latina. Scrivendo in una lingua morta e seguendo la cultura circostante, raramente mostravano originalità come poeti. Verso la fine del XV secolo si conoscono solo le eccezioni di Giovanni Pontano, Michele Marullo Tarcaniota e Jacopo Sannazzaro. Questi poeti ebbero successo nel creare vera poesia in cui temi nuovi o meno nuovi venivano espressi con nuova intimità e passione.
Sviluppo della letteratura su nella lingua madre
Verso la metà del XV secolo, l’italiano cominciò a soppiantare il latino come lingua letteraria. Nel 1441 si tenne a Firenze un concorso di poesia con l'intento di dimostrare che la lingua italiana parlata non era in alcun modo inferiore al latino. Nella seconda metà del secolo vi furono scritte molte opere che ispirarono le leggende cavalleresche del Medioevo o la nuova cultura umanistica.
I nuovi ideali degli umanisti trovarono compimento nelle opere di Angelo Poliziano, Jacopo Sannazzaro e Leon Battista Alberti, tre figure di spicco che unirono un'ampia conoscenza dell'antichità classica a una profonda ispirazione. Maggior parte lavoro importante Poliziano – incompiuto S tanze cominciate per la giostra del Magnifico Giuliano de "Medici" (1475-78; "Vanzas cominciò per il Torneo del Bello Giulino de' Medici")– dedicato a Lorenzo, fratello di Giulino de’ Medici.
Pietro Bembo da Venezia pubblicò il suo Prose della volgar lingua ("Scrittura in volgare") nel 1525. In quest'opera, che fu una delle prime grammatiche storiche italiane, Bembo usò una lingua letteraria italiana basata sul dialetto toscano del XIV secolo, usato soprattutto da Petrarca e Boccaccio. Ha concluso che il lavoro di Dante era stilisticamente irregolare e non abbastanza dignitoso. A Bembo si opposero coloro che credevano che una lingua letteraria dovesse basarsi sull'uso moderno, in particolare Gian Giorgio Trissino, che sviluppò le teorie dantesche sull'italiano come lingua letteraria. In pratica il problema era sia linguistico che stilistico, e nella prima metà del Cinquecento vi furono molti altri studiosi che avanzarono le proprie versioni, anche se fu la teoria di Bembo a prevalere definitivamente nella seconda metà del secolo. Ciò fu in gran parte dovuto all'azione dell'Accademia fiorentina della Crusca e non solo approccio scientifico alla questione della lingua portò alla prima pubblicazione di un dizionario da parte dell'Accademia francese nel 1612.
Nei primi decenni del XVI secolo i manuali di poesia venivano ancora composti secondo le idee degli umanisti e gli insegnamenti del poeta romano Orazio. Fu solo dopo il 1536 che il testo classico originale fu pubblicato per la prima volta in greco incompleto Poetica Aristotele e lo sviluppo graduale diventano evidenti nella teoria estetica.
Letteratura politica, storica, biografica e morale
Le opere di Niccolò Machiavelli riflettevano le considerazioni rinascimentali in aspetti originali, soprattutto nell'analisi oggettiva della natura umana. Machiavelli è visto come il fondatore di una nuova scienza politica: la politica separata dall’etica. La sua esperienza politica era al centro delle sue idee, che sviluppò secondo principi generali come il concetto di virtù (“iniziativa individuale”) e di fortuna. Il famoso trattato di Machiavelli Il principe (Principe)è stato scritto nel 1513. In esso comunica la sua fede nei vantaggi della virtù e rivela il suo atteggiamento profetico, basato sia sulla lettura della storia che sull'osservazione delle lotte politiche contemporanee. La sua descrizione di un sovrano esemplare divenne per due secoli il codice per i detentori di un potere illimitato in tutta Europa. Sette libri di Machiavelli Dell'arte della guerra (1521), "Arte della guerra") riguardava la creazione di un esercito moderno ed era più specializzato, mentre le sue opere storiche, in particolare Storia fiorentina (1520-25, "Storia di Firenze") illustrò le teorie esposte nei suoi lavori scientifici. Machiavelli scrisse anche letteratura teatrale, in particolare la sua famosa opera teatrale La Mandragola(1518) è una delle più grandi commedie del secolo.
Sebbene Francesco Gucciardini fosse un realista (o pessimista) più grande di Machiavelli, fu solo uno storico del XVI secolo che poteva essere collocato nel quadro teorie politiche che ha progettato. Gucciardini attirò l'attenzione sull'egoismo di coloro che erano coinvolti nell'attività politica e fece sembrare idealistiche le teorie di Machiavelli rispetto alle sue. Una delle opere principali di Gucciardini Ricordi (1512-30; "Appunti")è tra gli scritti politici più originali del secolo. Gucciardini fu anche il primo a creare un vero e proprio storia nazionale Italia, collocandola in un contesto europeo e tentando un’analisi imparziale di cause e conseguenze.
Vite de "piu eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue insino a" tempi nostri (1568, "La vita eccezionale pittori, scultori e architetti") di Giorgio Vasari conteneva più di 200 biografie, e fu il primo bilancio critico e storico dell'arte italiana.
Le alte aspirazioni morali del Rinascimento, espresse in Baldassare Castiglione Cortegiano(pubblicato nel 1528, "Il Cortegiano"). Quest'opera racconta la storia di un perfetto cortigiano, una nobildonna e il rapporto tra un cortigiano e un principe. Fu uno dei libri più influenti del secolo. Giovanni della Casa ne fu autore anche un altro opera famosa, Galateo(1551-54; Galatea è il nome dell'oratore principale). Era un libro sulla cortesia, in cui la mente arguta dell'autore e la purificazione della moderna società italiana sono pienamente espresse.
Poesia
Lirica nel XVI secolo quasi tutti migliori autori secoli scrissero poemi lirici nello stile del Petrarca. Sorprendente originalità si trovava solo nelle poesie di Della Casa e Galeazzo di Tarsia, che si distinguevano tra i loro contemporanei per uno stile energico. Degni di attenzione sono anche gli appassionati sonetti del poeta padovano Gaspari Stampa.
La tradizione della poesia umoristica e satirica fu mantenuta anche nel XVI secolo. Un famoso poeta di questo genere in questo periodo fu Francesco Berni, le cui poesie parodistiche, che avevano temi osceni o banali, mostrarono la sua arguzia e abilità stilistica. In questo periodo era popolare anche la poesia didattica, già sviluppata dagli umanisti.
L'espressione più pura del gusto classico del Rinascimento si trovò nell'opera di Ludovico Ariosto Orlando Furioso(1516), "Orlando il pazzo"), che riuniva molti episodi tratti dall'epica popolare del Medioevo e del primo Rinascimento. La poesia è in realtà una continuazione Boiardo Orlando innamorato. L'Orlando furioso fu una meravigliosa espressione delle tendenze letterarie del Rinascimento italiano e ebbe un'enorme influenza sulla successiva letteratura del Rinascimento europeo. L'Ariosto scrisse anche commedie che, imitando le commedie romane, gettarono le basi del dramma italiano.
Ci furono anche tentativi di ripristinare il genere dei poemi epici utilizzando le "regole" di Aristotele per l'organizzazione delle poesie. Il teorico del linguaggio Gian Giorgio Trissino ha scritto una poesia Italia liberata dai Goti("L'Italia liberata dai Goti") secondo le rigide regole di Aristotele, mentre Almanni cercava di concentrare la storia su un personaggio in Girone e Cortese(1548, "Girone il Gentile") ed Avarchide (1570)).
Nel corso del secolo furono inventate due forme parodistiche di versi misti. Le poesie di Fidenziana presero il nome dalle opere di Camillo Scrofa, poeta che scrisse parodie dell'opera del Petrarca, unendo parole latine e la sintassi italiana. Versetto maccheronico, invece, è un termine dato a un verso composto da parole italiane e sintassi latina. Teofilo Folegnio, monaco benedettino, fu il massimo esponente della letteratura maccheroniana. Il suo capolavoro era una poesia in 20 libri Baldo (1517).
Torquato Tasso, figlio del poeta Bernardo Tasso, è stato l'ultimo grande poeta del Rinascimento italiano e uno dei più famosi di tutta la letteratura italiana. Nel suo poema epico Gerusalemme liberata (1581), "Gerusalemme liberata") egli riassumeva la tradizione letteraria tipica del Rinascimento: l'epica classica riproposta secondo gli interessi spirituali del suo tempo. Il tema della poesia è la Prima Crociata, il cui compito era riconquistare Gerusalemme. La struttura della poesia drammatizza la lotta. Il suo pathos risiede nell'enorme valore dell'autocontrollo. L'Aminta(1573), dramma gioioso e inedito, fu il miglior esempio della poesia giovanile del Tasso e apparteneva al nuovo genere letterario della pastorale (racconto di una vita idealizzata). La Gerusalemme liberata, tuttavia, fu il risultato di un equilibrio nelle controverse aspirazioni del poeta. Nella prossima poesia Gerusalemme conquistata (1593, "Gerusalemme sconfitta") Tasso imitò Omero e rifece il suo poema secondo le rigide regole di Aristotele e gli ideali della reazione della Chiesa cattolica romana contro la Riforma protestante, nota come Controriforma. Il conflitto del Tasso si concluse con la vittoria del principio moralistico: nuova poesia non ha avuto successo.
Dramma
"Sofonisba" di Gian Giorgio Trissino (scritta nel 1514-15; il titolo è il nome del personaggio principale) fu la prima tragedia in lingua italiana, ispirata alla letteratura classica, la sua struttura derivava da modelli greci, ma le sue qualità poetiche erano alquanto mediocre. A metà del XVI secolo, Gimbattista Giraldi si oppose all'imitazione del dramma greco, proponendo il tragico romano Seneca come nuovo modello, e in nove tragedie e tragicommedie scritte tra il 1541 e il 1549 mostrò una certa indipendenza dalle regole aristoteliche. Giraldi influenzò notevolmente il dramma europeo, in particolare il teatro inglese del periodo elisabettiano.
Le commedie italiane di questo secolo, che ispirarono esempi romani, avevano un valore artistico maggiore delle tragedie e riflettevano più pienamente la vita di quel tempo. Queste commedie furono il punto di partenza del moderno dramma europeo.
Dalla metà del XX secolo, l'attore Angelo Beolco è stato riconosciuto come uno dei migliori drammaturghi del XVI secolo. Le sue opere, spesso monologhi scritti nel dialetto rurale padovano, affrontano i problemi dell'oppressione contadina con realismo e profonda serietà. Un altro famoso drammaturgo di questo secolo è il veneziano André Calme, che dimostrò un grande talento nel creare nelle sue commedie personaggi con complesse storie d'amore.
Il Seicento nella letteratura italiana è tradizionalmente rappresentato come un periodo di "declino", in cui gli scrittori poco sentimentali ricorsero all'esagerazione e mascherarono la povertà dei loro temi sotto un eccesso di forma. Tuttavia questo periodo è stato estremamente importante.
Poesia e prosa
La popolarità della satira fu una reazione a quelle condizioni. In questo genere si distingue il napoletano Salvador Rosa, autore di sette satire sui vizi e i difetti dell'età. Alessandro Tasoni ha ricevuto grande fama per il suo poema satirico pseudo-eroico La secchia rapita (1622; Rubare un secchio). Il più poeta di questo periodo fu Tommaso Campanella, frate domenicano che trascorse maggior parte dalla sua vita adulta in prigione per attivismo antigovernativo. Campanella è forse meno conosciuto per le sue poesie filosofiche umoristiche che per Città del sole(1602; Città del Sole), una visione di un'utopia politica in cui sosteneva l'unificazione dell'umanità da parte di una teocrazia basata sulla religione naturale.
L'Italia è famosa per il genere Giallo nella letteratura e nel cinema. Questa è una specie di romanzo poliziesco con elementi horror. Nel 21 ° secolo, questo genere ha acquisito nuove forme moderne sia di creazione che di composizione delle opere e della loro presentazione. Uno degli scrittori e artisti più famosi dell'horror italiano moderno è Giovanni Budza. Le sue opere sono ricche di numerosi adattamenti di motivi folcloristici, sia antichi che moderni. L'ansia e la tristezza permeano di orrore ogni romanzo dello scrittore per ogni racconto. Giovanni Budz è valutato nientemeno che Howard Lovecraft o Clive Barker. Questo è un vero autore moderno con il suo gusto imperfetto e un'estetica forte.

Il genere del miglior libro finora di A. Baricco, l'esordiente più titolato degli anni '90, può essere descritto come un romanzo d'avventura, un poema in prosa, una parabola filosofica e persino un thriller. Sarà il lettore esigente a scegliere le chiavi di lettura di quest'opera dalle molteplici sfaccettature, che non ha analoghi nella letteratura nativa in termini di tecnica di scrittura e fascino della metafora.

2. Dante Alighieri - “La Divina Commedia”

Il frutto dell'intera vita del "Severo Dante" (come Pushkin chiamava il brillante italiano), una creazione che nel Medioevo divenne un presagio del Rinascimento, un'opera che si colloca tra le più grandi conquiste del pensiero umano - questo è ciò che dicono detto, dicono e parleranno dell'opera che lo stesso Dante Alighieri la chiamò semplicemente “Commedia”, e i suoi discendenti la chiamarono “Divina”. Sono trascorsi più di sette secoli dalla comparsa della “Divina Commedia”, e storici e critici non smettono ancora di discutere su cosa sia: una “guida” all'aldilà (nella mente di una comune persona terrena) o qualcosa di più , un tentativo del genio umano di conoscere l'inconoscibile, di trovare il razionale nell'irrazionale, di mostrare alle persone il percorso dall'oscurità e dal dolore alla luce e alla gioia. In ogni caso, La Divina Commedia è un classico che vivrà per sempre.

3. Niccolò Ammaniti - “Non ho paura”

Niccolò Ammaniti è uno degli scrittori contemporanei più apprezzati in Italia. Nato a Roma nel 1966. Esordisce nel 1994 e subito con un romanzo. Autore di un libro di saggi, di due raccolte di racconti e di tre romanzi, uno dei quali, “Non ho paura”, pubblicato alla fine del 2001, ha costituito la base di un lungometraggio omonimo, uscito nel estate del 2002.
“Non ho paura” è un libro sul coraggio e l'amicizia, sulla crudeltà e sull'amore, su come a volte le persone più vicine si ritrovano trascinate nei guai più pericolosi...

4. Italo Calvino - “Se una notte d'inverno un viaggiatore...”

Romanzo postmoderno di culto.
Un'opera fondamentale nella storia della letteratura mondiale del XX secolo.
Prosa straordinaria e un'idea davvero originale.
Una struttura ipertestuale complessa e affascinante, intessuta di dieci racconti che compongono il tessuto letterario dell'opera.
Un sofisticato gioco di generi, allusioni e reminiscenze.
Questo è questo romanzo, i cui eroi diventeranno il Lettore e il Lettore...

5. Paolo Giordano - “La solitudine dei numeri primi”

Mattia pensava che lui e Aliche fossero semplici numeri, soli e smarriti. Quei numeri che sono vicini, ma non abbastanza vicini da potersi toccare veramente. Ma non glielo ha mai detto...
Il romanzo più toccante sull'amore e la solitudine.

6. Umberto Eco - “Cimitero di Praga”

L'azione si svolge quasi interamente in Francia, ma le conseguenze di questo intrigo si manifesteranno tragicamente in seguito il mondo intero. Al centro degli eventi si troverà presto la Russia, dove nel 1905 fu pubblicato per la prima volta il famoso falso letterario “I Protocolli dei Savi di Sion”. Il romanzo documenta gli sforzi con cui è stato creato questo falso. Il personaggio principale è molto disgustoso e tutto ciò che gli accade è allo stesso tempo terribile e interessante. L'autore, costruendo una trama nello spirito di Alexandre Dumas, trascina il lettore senza fiato attraverso le fetide fogne parigine e i covi di gangster, recluta l'eroe nell'esercito garibaldino, lo costringe a spiare tutte le agenzie di intelligence e controspionaggio del mondo, comprese la polizia segreta russa, per domare le donne isteriche della clinica Dr. Charcot, bere birra con Sigmund Freud, correre fianco a fianco con la Libertà sulle barricate e persino partecipare a una messa satanica. Allo stesso tempo, come sempre, Umberto Eco regala al lettore un'enorme carica di conoscenze e di idee nel guscio di un romanzo d'avventura.

7. Alessandro D’Avenia - “Bianco come il latte, rosso come il sangue”

Ha solo diciassette anni. E lui la ama, la sua Beatrice. Il suo è scarlatto come il sangue, il suo è bianco come il latte. Sogna che saranno sempre insieme. Vuole darle l'eternità. Vuole portarla via dall'eternità. Ma Dio, nel quale non crede, decide diversamente...
Il romanzo di Alessandro D'Avenia è una storia sottile, piena di amarezza e speranza, luminosa e romantica sul primo amore.

8. Dino Buzzati - “Deserto Tartaro”

Il romanzo è scritto in stile kafkiano, utilizzando il metodo del differimento infinito utilizzato spesso dagli Eleatici e da Kafka. Ma se l'atmosfera nei romanzi di Kafka è grigia, opprimente di insensatezza e routine, sa di burocrazia e noia, allora in "Il deserto dei tartari" l'anticipazione si fa sentire in ogni cosa, ma questa è l'anticipazione di una battaglia gigantesca, spaventosa e tanto attesa. Nelle sue pagine Dino Buzzati restituisce il romanzo alla sua antica fonte: l'epica. Il deserto qui è allo stesso tempo realtà e simbolo. È illimitato e l'eroe si aspetta orde innumerevoli come la sabbia.

9. Lorenzo Licalzi - “Io non lo sono”

Flavio e Francesco sono fratelli. Flavio ha tutto pianificato al minuto. Sa sempre esattamente come andrà a finire il suo futuro. E la vita di Francesco è un viaggio infinito senza una rotta chiara.
Un giorno, la moglie di Flavio, sognando di trovare un degno compagno per Francesco, lo presenta alla sua amica Elisa, e un incontro cambia per sempre il destino di tutti e quattro.
Dove condurrà Francesco questo amore inaspettato e, come gli sembrava, del tutto inappropriato nella sua vita?
Questo libro parla dell'amore che deve ancora essere trovato e dell'amore che è nascosto nel cuore.

10. Laura Sandi - “I biscotti al malto Tucci rendono il mondo un posto migliore.”

Leda Rothko è una ragazza molto insolita. Ricorda il momento della sua nascita, ma non sa cosa sia la televisione, vive in una famiglia ricca, ma è sempre sola. E trova il suo primo amore in un modo insolito- per telefono…
Il nuovo romanzo della serie “La solitudine dei numeri primi” è la storia di un individuo sempre solo e sempre diverso da tutti gli altri. Questo è un romanzo su tutti e per tutti. Nella piccola Leda, nonostante la sua giovane età, ognuno può riconoscere se stesso e le proprie esperienze. Questo libro speciale ha già ottenuto riconoscimenti in patria, in Italia, ora in russo.

La penisola italiana attirava gli scrittori dell'epoca zarista con il suo clima favorevole e, soprattutto, con il suo patrimonio artistico e storico, di cui trovavano testimonianza letteralmente ad ogni passo. L'ossessione per l'Italia e la maledizione dell'Italia, desiderio e nostalgia. Chiamata a se stessa o sete di ritorno, l'Italia rimase un soggetto di passione che riempì le anime e le pagine degli scrittori russi. Poeti e prosatori, realisti e romantici erano collegati da questo filo rosso, che attraversò tutto il XIX secolo e in parte l'inizio del secolo successivo.

La Russia, considerata chiusa all'Italia, iniziò ad aprirsi all'Europa sotto Pietro il Grande, il quale, con decreto del 1696, invitò i bambini provenienti da famiglie benestanti a ricevere un'istruzione in Occidente. E presto la penisola italiana divenne una destinazione ambita sia per viaggi fugaci - ad esempio, i viaggi di Anton Cechov, che visitò tre volte la "terra delle meraviglie", fermandosi sempre a Venezia - la "bella città", sia per visite a lungo termine , ad esempio, il socialista Maxim Gorky o il realista Nikolai Gogol , che dicevano: “Tutta l'Europa è per guardare, e l'Italia è per vivere” e “Chi è stato in Italia, dica “perdona” agli altri paesi. Chi è stato in cielo non vorrà venire sulla terra." La gente cercava qui soprattutto per il bene del clima e dei monumenti culturali. In fuga dai loro inverni spiacevoli, gli scrittori russi si rifugiarono in Italia sotto il "volto cielo blu", restituendo la salute, alcuni minata dalla tubercolosi altri dalla sventura. E proprio come il sole, tutto era permeato di storia e di arte. Antichità "sparse sotto i piedi", piazze "coperte di rovine", gallerie d'arte "che si possono guardare da tutti tutto l'anno", strade con "scuole di pittori e scultori quasi a ogni porta" e una moltitudine di chiese come "in nessun altro posto al mondo".

Sfortunatamente, la Russia non ha suscitato la stessa forte ammirazione in Italia a causa della sua lontananza geografica e politica. Roccaforte della Santa Alleanza, l'Impero zarista era considerato simbolo della Reazione, e in Italia c'era la convinzione che in un ambiente di arretratezza politica potesse esistere solo povertà culturale. Pertanto, l'opera letteraria degli scrittori russi di quell'epoca non suscitò molto interesse. Nonostante la letteratura russa abbia conosciuto il suo sviluppo storico più significativo, nei giornali letterari e culturali della prima metà del XIX secolo si trovano solo riferimenti occasionali ad essa. Diversi salotti letterari divennero oasi di interesse nel deserto dell'indifferenza e dell'ignoranza, ad esempio i salotti Demidov a Firenze e i salotti della principessa Volkonskaya. Le opere di Dostoevskij e Tolstoj divennero popolari solo nella seconda metà del secolo, e poi, a conferma del provincialismo intellettuale dell'epoca, attraverso la mediazione della Francia.

Il contrasto tra la disattenzione dell'intellighenzia italiana verso la cultura russa e la vicinanza degli scrittori della Russia zarista alla cultura italiana provoca cortocircuiti surreali.

Ad esempio, fu in Italia che Gogol scrisse la prima parte di “Le anime morte” e furono proprio le opere di Dante a ispirargli l’idea di includere il poema nella trilogia. Tuttavia, l'Italia non ha notato l'apparizione di questo capolavoro.

Piazza Pitti: il luogo dove Dostoevskij terminò il suo romanzo "L'Idiota"

Quando sei a Firenze, devi semplicemente seguire gli itinerari a piedi dello scrittore. Qui nacque sua figlia Lyubov e fu qui che completò il suo romanzo più famoso.

Firenze, Piazza Pitti, Civico 22. Dietro la breve solennità della lapide commemorativa si nasconde uno dei più ricchi “periodi italiani” dello scrittore russo. In questa casa nacque il frutto dell'amore tra Fëdor Dostoevskij e sua moglie Anna: una figlia, che per un motivo chiamarono Lyubov. Nella stessa casa, l'autore di “Delitto e castigo” ha portato a termine un'opera che “lo tormentava da tempo, poiché l'idea di rappresentare una persona assolutamente buona”, un Gesù moderno, da cui è tratto il romanzo “L'idiota” "Uno dei romanzi più famosi della letteratura russa, è stato difficile. Quindi, 1868, l'era della Firenze Capitale. Palazzo Pitti è la residenza del re dell'Italia unita. E Dostoevskij, fuggito in Europa dai creditori di Mosca, trova casa proprio sulla famosa piazza su cui sorge il Palazzo Reale. "I cambiamenti hanno avuto ancora un effetto benefico su mio marito, e abbiamo cominciato a visitare insieme chiese, musei e palazzi", scrive la moglie nelle sue memorie di un anno trascorso a Firenze.

Fu un periodo felice, il cui ritmo era scandito dalle passeggiate quotidiane al Giardino di Boboli e dalle scadenze rigorose della rivista Russian Messenger, che pubblicava capitoli del romanzo. Con il ritorno di Dostoevskij a San Pietroburgo l'Italia non scompare dalla sua vita. Negli articoli pubblicati da Dostoevskij sulla rivista "Il Cittadino", c'è un sentimento di nostalgia per l'Italia, che non vedeva più: quel Paese "bimillenario" dove gli italiani "portavano dentro di sé l'universale... .vera idea di unificare il mondo intero." Un'idea che è assente nella “creatura del conte Cavour”, che è solo “un regno minore unito che ha perso ogni invasione mondana”, avente “una base non spirituale, ma meccanica”.

Viaggio a Roma: “la culla dell'anima” di Nikolai Gogol

Lo scrittore visse nella capitale italiana tra il 1837 e il 1841, qui trasse ispirazione e scrisse “Il Cappotto” e la prima parte di “Le anime morte”.

Ogni mondo rivela inevitabilmente sfumature deludenti che la nostra immaginazione ha sfuggito, ma non è stato questo il caso dell'Italia di Nikolai Gogol. Era innamorato di lei ancor prima di vederla, dedicandole i seguenti versi della sua prima opera scritta e unica opera in versi:

"L'Italia è un paese lussuoso!
L'anima geme e la desidera. Lei è tutta paradiso, tutta piena di gioia,
E in esso sgorga l'amore lussuoso... Quel giardino dove nella nuvola dei sogni
Raffaello e Torquat vivono ancora! Ti vedrò pieno di aspettative?"

E quando finalmente la vide, non rimase deluso. Al contrario: parlava dell'Italia come della “patria della sua anima”, del luogo dove lei viveva anche prima di lui. Afflitto dall'insignificante successo della produzione della commedia "L'ispettore generale" a San Pietroburgo, Gogol, dopo aver visitato Germania, Svizzera e Francia, si trasferì in Italia nel 1837. Uno dei motivi era la cattiva salute dello scrittore. A Roma, ha detto, «l'uomo è un miglio più vicino a Dio» e l'aria è tale che «vi viene un desiderio affannoso di trasformarsi in un naso solo,... le cui narici sarebbero grandi come secchi», per poter mi sento come se "stanno arrivando in volo almeno settecento angeli". Fino al 1841 Gogol visse in via Santo Isidoro 17, visitando scrittori russi e italiani come Gioachino Beli.

Amava l'Italia, ne ammirava la ricchezza storica e artistica - “tutto quello che leggi nei libri, lo vedi qui davanti a te” – la sua natura e la sua gente, “che è dotata a tal punto di senso estetico”. Qui lo scrittore, nato in Ucraina, era felice, e l'Italia divenne per lui fonte di ispirazione: qui scrisse la prima parte di Dead Souls, Portrait e Overcoat, l'apice della sua commedia irriverente. E qui iniziò a sviluppare l'idea della purificazione dell'anima, che poi influenzò gran parte della letteratura russa.

LETTERATURA ITALIANA E UNITÀ ARTISTICA DELLA LETTERATURA EUROPEA DEI TEMPI NUOVI (R. I. Khlodovsky)

E quando vidi Roma per la seconda volta, oh, come mi parve migliore di prima! Mi è sembrato di vedere la mia terra natale, che non visitavo da diversi anni e in cui vivevano solo i miei pensieri. Ma no, non è tutto questo, non la mia patria, ma ho visto la patria della mia anima, dove la mia anima viveva davanti a me, prima che io nascessi.

N.V. Gogol

Sì, posso dire che solo a Roma ti senti veramente un essere umano.

I. V. Goethe

L’Italia si è rivelata uno degli ultimi stati ad apparire sulla mappa politica dell’Europa. Questo fatto non ha influenzato significativamente la letteratura. È vero, di nuovo dentro metà del XVIII secolo secolo, il gesuita e illuminista Saverio Bettinelli si chiedeva, non senza malizia, come si possa parlare di una qualche esistenza della letteratura italiana in un'epoca in cui l'Italia stessa non esiste realmente. Questo era uno dei paradossi preferiti dell'amico di Voltaire. Bettinelli combatté e litigò con Dante per tutta la vita. Saverio Bettinelli, ovviamente, sapeva che Dante aveva qualcosa a cui obiettare. Come se prevedesse profeticamente l'eccessivo razionalismo del suo instancabile persecutore, l'ideatore della “Divina Commedia” scrisse nel suo trattato incompiuto “Sull'eloquenza popolare”: “Anche se in Italia non esiste un solo governo universale simile al governo della Germania, i suoi membri, però, non mancano; e come i membri di detto governo sono uniti da un unico sovrano, così i nostri membri sono uniti dal beato lume della ragione” (I, XVIII, 5).

“L’Italia per noi”, ha detto il pensatore russo Nikolai Berdyaev, “non è un concetto geografico, né uno stato nazionale. L'Italia è un eterno elemento dello spirito, un eterno regno della creatività umana" 1 . Per comprendere la storia della letteratura italiana, questa idea è estremamente importante. Sembra che, parlando del governo ideale dell'Italia ideale, esistente nella coscienza linguistica e artistica di se stesso e dei suoi contemporanei, Dante avesse in mente un'intellighenzia storicamente nuova, non di classe, e quindi tutta di classe. La “Lampada della Ragione” è la stessa luce che avvolge in un alone cupo gli antichi poeti, individuandoli in un gruppo particolarissimo e sconfiggendo, come si racconta nella Commedia, l'oscurità in cui risiedevano anche i saggi dell'Antico Testamento. A partire dal XIV secolo, l’intellighenzia non classista sarebbe diventata non solo la creatrice diretta dei valori spirituali più significativi, ma anche l’incarnazione di una coscienza artistica nazionale fondamentalmente nuova in un’epoca in cui non esistevano politiche sociali, economiche, politiche o politiche. qualsiasi materiale che presupponesse la coscienza nazionale in Italia, a quanto pare, non esisteva affatto.

La letteratura in volgare è apparsa in Italia molto più tardi che in altri paesi dell'Europa occidentale: in Francia, Inghilterra, Spagna, Germania, Scandinavia. Gli italiani non avevano né saghe né epica popolare, niente poemi eroici, niente romanzo cavalleresco, almeno in quella forma classica per il Medioevo, che Chrétien de Troyes e Wolfram von Eschenbach diedero al romanzo cavalleresco. Tuttavia difficilmente si può parlare di arretratezza letteraria in Italia. Lo sviluppo letterario dell'Italia medievale non fu lento, ma originale. La Roma era sempre presente. Il programma di Cassiodoro fu realizzato nell'Italia medievale non in modo spettacolare, senza scoppi di effimeri "revival", ma in modo organico e abbastanza coerente. “Le scuole normanne del XII secolo”, scrisse A. N. Veselovsky, “produssero poesia latina più brillante di quelle contemporanee in Italia, ma questa fu una questione di impegno e formazione, che presto cedette il posto al flusso di pensiero scolastico. In Italia la tradizione classica non conosceva simili scorci, ma reggeva più agevolmente, perché il suo ambiente non era una scuola, ma una società che riconosceva in essa qualcosa di proprio, un elemento di comunicazione imprenditoriale e culturale. Ecco perché qui, più a lungo che altrove, la lingua latina conservò il significato di lingua letteraria, in un certo senso viva, e l'italiano apparve in primo luogo più tardi delle altre lingue romanze, perché il suo isolamento non era più avvertito come necessario. Ma quando la poesia italiana si liberò dall'influenza dei modelli provenzali e siciliani, che formalmente la precedevano, si dichiarò subito nelle mani di poeti bolognesi e fiorentini rappresentanti del nuovo stile poetico, prodotto di un paese in cui la tradizione educativa di l'antichità aveva a lungo nutrito la conoscenza filosofica e il gusto per l'elegante, ovviamente nei limiti della sua accessibilità e conservazione e nei limiti consentiti dal cristianesimo. Al vertice di questo sviluppo sta Dante; pone fine al periodo medievale dello sviluppo italiano”. 2

La nascita della letteratura italiana fu accompagnata da una potente esplosione di energia spirituale. Ha scosso tutta l’Europa occidentale, e i suoi echi sordi si sono potuti sentire solo di recente nella cultura europea del nostro tragico secolo. L'influenza dell'Italia sul destino dell'Europa si è rivelata enorme e, a quanto pare, incomparabile. Fu nella letteratura italiana che nacque un fenomeno che diede alla cultura europea moderna la sua unità morale e artistica e la elevò esteticamente anche al di sopra dell'antichità greco-romana. Riguarda, ovviamente, sull'umanesimo.

L'umanesimo, come sapete, è un concetto ampio. Quasi da base paritaria si può parlare dell'umanesimo di "Gilgamesh", "Anti-Gone", "Re Lear", "Tristram Shandy", "Anna Karenina" e persino "Klim Samgin". Il loro umanesimo non è affatto astratto, ma i suoi confini reali coincidono con i confini di ogni arte genuina.

Accanto all'umanesimo nel senso lato del termine c'è l'umanesimo come fenomeno specificamente storico. Questo è l'umanesimo sorto nei secoli XIV-XV in Italia, formatosi prima nell'opera artistica di Petrarca e Boccaccio, e poi nell'attività teorica dei loro diretti allievi e successori, i grandi filologi, moralisti e maestri della fine del XIV secolo. - prima metà del XV secolo. È questo umanesimo che dovrebbe essere chiamato classico. Ha dato un nome a tutto il fenomeno. Da quella vasta sfera creatività letteraria, che Petrarca chiamò semplicemente “poesia”, i suoi allievi e successori individuarono un ambito speciale e cominciarono a chiamarlo studia humanitatis. Spiegando il significato di questo termine, sostenevano che lo scopo dei loro diligenti studi era “la conoscenza di quelle cose che riguardano la vita e la morale e che migliorano e adornano la persona” (Leonardo Bruni). La base degli studia humanitatis era la filologia classica. In combinazione con la poesia di Petrarca, gli studia humanitatis formarono una nuova letteratura rinascimentale. Nella formazione della cultura dell'umanesimo europeo, la parola umana ha svolto un ruolo enorme.

È sbagliato, come fecero una volta A. N. Veselovsky, e dopo di lui alcuni scienziati sovietici negli anni ’30 e ’40, contrapporre gli “scienziati” studia humanitatis al presunto “folk”, umanesimo rinascimentale della poesia di Boccaccio, Ariosto, Rabelais, Shakespeare. Allo stesso modo, è errato dichiarare l'umanesimo filologico del XV secolo - questo è proposto con insistenza da P. O. Kristeller. umanesimo” in in senso stretto"e vedere in esso solo l'attività specifica, professionale degli insegnanti di grammatica latina, retorica, filosofia morale, ecc. I seguaci di Petrarca non furono né scolastici né nemmeno ordinari professori universitari. L'umanesimo studia humanitatis è l'umanesimo rinascimentale dei secoli XVIII e XIX. Le sue idee e i suoi concetti formavano l'essenza ideologica di quel grandioso fenomeno storico-culturale che comunemente viene chiamato Rinascimento.

Nelle prime fasi del Rinascimento, la competenza della filologia classica si rivelò insolitamente ampia. La filologia in questo periodo non solo sviluppò nuovi metodi per comprendere il mondo reale e non solo si rivelò una sorta di "filosofia dell'uomo e dell'umanità", sulla quale Eugenio Garen scrisse molto e bene 3, ma andò anche ben oltre lo scopo della conoscenza filosofica stessa, opponendosi direttamente a se stessa come visione del mondo fondamentalmente nuova della teologia ufficiale, che includeva la scolastica con la sua filosofia naturale medievale e la “dialettica” formalizzata. La rivoluzione rivoluzionaria del Rinascimento non è una “rivoluzione universale”, come credeva una volta l’eminente storico sovietico M.A. Gukovsky, né l’emergere di una nuova formazione socioeconomica, né la sostituzione di una religione con un’altra, e nemmeno una revisione del sistema l'universo dell'immagine precedente, no - questo è, prima di tutto, un cambiamento radicale nel sistema delle più importanti coordinate ideologiche avvenute all'interno del Medioevo feudale, accompagnato da cambiamenti radicali nella "lingua" degli strati superiori della cultura e svolta principalmente sulla base di quelle discipline che poi sarebbero state chiamate “scienze umanistiche”. containerizzate." La più importante delle scoperte rivoluzionarie del Rinascimento - la "scoperta dell'uomo" - fu fatta nella letteratura e nelle arti visive dell'Italia rinascimentale. Ciò determinò per molto tempo l'intero carattere della cultura europea, che né le riforme religiose del XVI secolo, né la rivoluzione scientifica e filosofica avvenuta in Europa nel XVII secolo, né le rivoluzioni industriali e sociali che la seguirono poterono cambiare. fine XVIII- inizio del XIX secolo. Nella “Confessione”, Tolstoj scrisse che prima della crisi morale e religiosa che visse, lui, come tutti i suoi contemporanei, era fermamente convinto che “la vita in generale si sta sviluppando e che in questo sviluppo noi, persone di pensiero, prendiamo la parte principale”. , e tra le persone di pensiero, noi, artisti e poeti, abbiamo l’influenza principale”.

L'umanesimo del Rinascimento italiano è stato ormai studiato abbastanza bene. Concentriamoci quindi su alcuni degli aspetti più significativi dell'umanesimo rinascimentale, e anche allora solo nella misura in cui ciò aiuterà a identificare l'originalità storica delle forme classiche di quell'ideologia umanistica artisticamente colorata che è alla base di tutta la nuova letteratura europea, inclusa quella qui e quella russa. classici. La formula rinascimentale, che risale al celebre libro di Jacob Burckhardt, è una metafora capiente e precisa. Basta non dimenticare che è una metafora. Un marxista poco ortodosso e pur sempre autorevole pensatore, Antonio Gramsci, scriveva: “Che cosa significa l'espressione: Il Rinascimento scoprì l'uomo, fece dell'uomo il centro dell'Universo, ecc., ecc.? Prima del Rinascimento l’uomo non era forse il centro dell’Universo, ecc.? Forse bisognerebbe dire che il Rinascimento creò una nuova cultura o civiltà, contrapponendosi o sviluppando quelle precedenti...” 4

Il cosiddetto antropocentrismo dell’ideologia umanistica del Rinascimento è un concetto che non ha bisogno di essere abbandonato, ma di essere in qualche modo chiarito. Indubbiamente, l'uomo ha sempre saputo di essere un uomo, ma diverse fasi Nel corso della storia, le persone si sono valutate in modo diverso. Lo stile artistico e ideologico di una particolare cultura è determinato non solo da una persona, ma dall'atteggiamento di una persona nei confronti del problema considerato da una particolare società problema principale tempo. Nel Medioevo, quando la Chiesa regnava sovrana in tutti gli ambiti della vita spirituale, limitando notevolmente la libertà dell’“uomo nuovo” dell’apostolo Paolo, il problema centrale dell’epoca era Dio, che era oltre i limiti finiti, storici esistenza. L'uomo terreno stesso, “pulvis et umbra”, non ha avuto un ruolo importante nei sistemi ideologici ed estetici del Medioevo. L'intero stile della cultura medievale era determinato dal rapporto dell'uomo con il Dio ultraterreno. La cultura medievale è trascendentale e teocentrica. Anche Dante viaggiò nell'aldilà. Tutte le strade portavano poi a Dio. Solo unendosi alla grazia della Parola rivelata l'uomo acquisiva il vero senso della vita.

Durante il Rinascimento - e questo divenne uno dei risultati più importanti della rivoluzione ideologica avvenuta in quel periodo - l'egemonia spirituale della religione fu scossa. Né Petrarca né i suoi successori erano atei, ma portarono Dio oltre la struttura dei sistemi ideologici e artistici che svilupparono. Il Dio trascendentale cessò di essere considerato da loro il problema principale dell'epoca proprio perché era trascendentale. Permettetemi di ricordarvi un passaggio spesso citato e in effetti molto caratteristico del trattato di Petrarca “Sull’ozio monastico”. Il primo umanista del Rinascimento sosteneva: “Ciò che c’è da sperare negli affari divini è una questione che lasciamo agli angeli, dei quali anche i più elevati sono caduti sotto il suo peso; Naturalmente, i celesti devono discutere del celeste, ma noi dobbiamo discutere dell’umano”.

Petrarca non contrappose l'uomo al cielo, ma il terreno e l'umano divennero per lui un soggetto indipendente di conoscenza morale ed estetica e, inoltre, non meno significativo di Dio, che non è conoscibile dalla ragione. La concentrazione lirica di Petrarca nelle profondità del suo mondo interiore fu il risultato di una colossale rivoluzione ideologica. Nel sistema ideologico dell'umanesimo classico e rinascimentale, l'uomo, immanente al mondo finito, occupava proprio il posto che prima apparteneva al Dio trascendentale. Questa è l’essenza della “scoperta dell’uomo” del Rinascimento. L'uomo - entro i limiti che gli sono stati assegnati - è diventato autosufficiente e libero come Dio e quindi si è rivelato essere il fulcro di tutto. È in questo senso che possiamo parlare di antropocentrismo della cultura umanistica del Rinascimento. Il contenuto ideologico del Rinascimento e il suo significato artistico stile classicoè determinato dall'atteggiamento dell'uomo verso l'uomo come problema ideologico centrale del tempo. "Il Decameron" di Giovanni Boccaccio inizia con le parole: "Umana cosa è..."

L'antropocentrismo della cultura rinascimentale fu in gran parte determinato dalla concezione individualistica dell'uomo e, a sua volta, determinò l'ulteriore sviluppo dell'individualismo rinascimentale. Anche questo è un concetto che necessita di essere chiarito. Non si dovrebbero identificare incondizionatamente i nuovi ideali di Petrarca, Boccaccio, Lorenzo Balla o Machiavelli con i principi quotidiani della cosiddetta prima borghesia, e ancor più con l’immoralismo di “uomini del Rinascimento” apparentemente tipici come Sigismondo Malatesta o Cesare Borgia. L’individualismo umanistico non è un fenomeno quotidiano, ma un fenomeno teorico, ideologico e, forse soprattutto, estetico. Proprio come l’antropocentrismo rinascimentale, questo fenomeno fu generato non dal commercio dei tessuti, ma dalla rivoluzione spirituale avvenuta nei secoli XIV-XV Poeti italiani, filologi e pittori. «Ciò che oggi chiamiamo “individualismo”, spiega A. Gramsci, “ha origine dalla rivoluzione culturale che seguì il Medioevo (Rinascimento e Riforma), e indica una certa posizione sul problema del divino e, quindi, della chiesa: questo è il passaggio dal pensiero trascendentale al pensiero immanente” 5.

L'individualismo umanistico si è rivelato il risultato di una rivoluzione molto più radicale della comparsa dei primi germogli della produzione manifatturiera. Mettendo l'uomo terreno al posto del Dio trascendente, gli umanisti italiani riconobbero così che l'uomo è, per così dire, uguale a Dio per grandezza e valore. Ma, ovviamente, entro certi limiti. Se il trattato ascetico “Sulla miseria della condizione umana” è tipico del Medioevo. poi l’inizio del Rinascimento è caratterizzato dal panegirico della “dignità umana”. Nel XV secolo divenne una specie di genere letterario, e impiega con successo Pier Paolo Vergerio, Bartolomeo Fazio, Gianozzo Manetti, Leon Battista Alberti, Giovanni Pico della Mirandola e decine di altri filologi e moralisti meno noti. Nel 1830 Pushkin trasformò tutti i problemi dell’umanesimo quattrocentista in una formula poetica estremamente capiente: “L’indipendenza di una persona è la garanzia della sua grandezza”.

L'antropologia del Rinascimento è un'antropologia del tutto speciale: non si deve pensare che sia stata sviluppata per dimostrare l'uguaglianza borghese di tutti davanti alla legge o per screditare le idee nobili sull'onore e sulla nobiltà. Si parlava di problemi incomparabilmente più importanti. L'antropologismo dell'umanesimo rinascimentale non è correlato al liberalismo politico dei secoli XIX-XX, ma al cosmologismo degli antichi sistemi di visione del mondo e al teologismo del Medioevo. Descrivendo il trattato di Manetti “Sulla dignità e superiorità dell'uomo”, N.V. Revyakina scrive: “Manetti agisce come il padrone sovrano del mondo, guidando e gestendo il mondo attraverso l'azione e la conoscenza, coautore di Dio nella creazione del mondo , un successore della sua opera sulla terra. "Un dio mortale", "un animale celeste e divino", "un essere divino piuttosto che umano", "l'immagine e somiglianza di Dio" - ci sono molte di queste definizioni nel trattato. La divinità dell'uomo è sottolineata in ogni cosa: nella perfezione della struttura del corpo umano, nel carattere creatore e creatore dello spirito, nel destino terreno dell'uomo in cui egli uguale a Dio»6.

Qui si notano caratteristiche importanti che tipologiezzano la cultura umanistica. La sinonimia di “divino” con perfezione umana (“bello come un angelo celeste”) risale al Rinascimento. A quell'epoca era pieno di profondi contenuti ideologici, quasi dimenticati e completamente cancellati ai nostri giorni. L'antropocentrismo rinascimentale presupponeva l'idealizzazione e, in un certo senso, anche la mitizzazione dell'uomo terreno e corporeo. La commensurabilità dell'uomo con Dio, derivante dal principio di immanenza, richiedeva urgentemente, da un lato, la finitezza, la perfetta completezza e l'antropomorfismo del mondo attorno all'uomo e, dall'altro, la natura cosmica dell'uomo nell'originale, greco significato della parola, cioè la sua bellezza divina come espressione dell'armonia assoluta tra esterno e interno, fisico e spirituale, bello e buono. L’estetica nel Rinascimento era strettamente correlata all’epistemologia e spesso vi transitava direttamente. Nei secoli XIV e XV l'uomo non aveva ancora pensato di competere con il creatore biblico di tutte le cose nella dubbia questione della trasformazione della natura, ma si sentiva già capace di competere con lui nel campo della creatività poetica. "L'uomo del Rinascimento", osserva A.F. Losev, "pensava a se stesso, prima di tutto, come un creatore e un artista, come quella personalità assoluta, di cui riconosceva di essere la creazione" 7 .

Tale consapevolezza portò naturalmente ad un aumento del prestigio spirituale e sociale dell'artista e poeta, nonché a idee completamente nuove sul ruolo storico di parola artistica nella formazione dell’uomo e dell’umanità. È davvero notevole che la cultura umanistica sia iniziata in Europa con l'apologia della poesia e del poeta. Petrarca e Boccaccio si sono occupati molto e specificatamente di questo. L'invettiva di Petrarca “Contro il medico” e gli ultimi due libri del trattato di Boccacci “L'origine degli dei pagani” sono interamente dedicati alla difesa della poesia. Già i primi umanisti difendevano la poesia come forma sovrana di conoscenza del mondo e manifestazione della libertà interna di una personalità umana autosufficiente, non solo dai sostenitori delle visioni tradizionali. Un altro oggetto non meno serio della loro polemica fu il razionalismo, che fiorì sotto l'influenza dei primi successi del primo progresso borghese dello scientismo medievale. Nei secoli XIII-XV, l’Europa occidentale aveva i suoi “modernisti” e “nigilisti”. In nome della fisica aristotelica, i cosiddetti “nuovi” (moderni) rifiutavano il reale valore dello studio degli “autori” latini, della retorica e delle “arti verbali” in generale. Cercarono di considerare l’uomo come uno dei numerosi anelli di un’enorme catena di necessità naturali ma trascendentali e limitarono attentamente la sfera della conoscenza positiva, “strettamente scientifica”, al quadro delle operazioni logiche formalizzate accessibili alla “dialettica” scolastica.

Né Dante, né Petrarca, né Boccaccio si consideravano “modernisti”. La nascita rivoluzionaria di una nuova cultura umanistica - e questo va sottolineato soprattutto, perché ad essa si presta ancora poca attenzione - fu un'esplosione di energia spirituale con cui i più grandi poeti d'Europa risposero ai primi tentativi dei lontani antenati del presente borghesia per privare l’uomo della libertà, della dignità e della gioia di partecipare all’armonia cosmica dell’esistenza. La poesia e l'arte del Rinascimento si formarono non come sublimazione dell'energia commerciale e usuraia della prima borghesia, ma come reazione a questa energia. La polemica dei primi umanisti italiani contro le “arti meccaniche”, il “tecnicismo” scolastico e la “barbarie” linguistica dei fisici parigini e dei logici di Oxford, i quali, trascurando volutamente grammatica e retorica, “gaudent brevitate”, era ideologicamente più ricca e, forse, ancor più intensa della loro polemica interna con la teologia tradizionale. E questo è comprensibile. Ciò non si spiega con il fatto che le controversie con gli “averroisti senza Dio” minacciassero gli umanisti con meno problemi. Prendendo in giro una sorta di “nichilismo” scientifico naturale della gioventù veneziana, che con sicurezza di sé lo rimproverava di arretratezza e ignoranza, e allo stesso tempo, come se anticipasse i dubbi filosofici del Levin di Tolstoj, Petrarca scrisse: “Perché conoscere gli animali, gli uccelli , pesci, serpenti? "Se non conosci la natura delle persone, non sai perché esistiamo, da dove veniamo e dove stiamo andando, oppure trascuri tutte queste domande."

Petrarca sapeva che né la filosofia naturale averroista né la scolastica medievale potevano dare risposte alle domande più importanti per l'uomo - e, tra l'altro, alle stesse domande poste da Tolstoj nelle sue Confessioni. Tuttavia, a differenza dell’autore di “Confessione” e in pieno accordo con il creatore di “Anna Karenina”, credeva che l’arte e la poesia potessero rispondere. Come Boccaccio, Petrarca paragonò la poesia alla teologia. Non si trattava né di un riavvicinamento all'allegorismo medievale, né semplicemente di un astuto espediente polemico volto a smorzare la vigilanza dei veterani della letteratura. Petrarca e Boccaccio avvertirono molto acutamente la differenza tra la poetica del Libro dei Cantici e del Decameron dai principi artistici della poesia religiosa e filosofica del XIII secolo e non intendevano mascherarli. Piuttosto il contrario. La nuova poesia programmaticamente mondana, nella quale, secondo le parole di Dante, “sbiectum est homo”, veniva esteticamente paragonata dagli umanisti alla teologia e alla poesia della Bibbia come forza, nelle sue capacità conoscitive del tutto commisurate alla Parola di Dio incarnato nella Bibbia. La posizione della poesia nella gerarchia dei valori spirituali è cambiata radicalmente. Se nel Medioevo la poesia si trovava all'ultimo livello e Tommaso d'Aquino dichiarava direttamente la poesia "la scienza più bassa", allora Petrarca e Boccaccio collocavano la poesia al di sopra di tutte le arti e le scienze del loro tempo, compresa la teologia scolastica. Secondo la loro profonda convinzione, solo la poesia, che faceva della persona autosufficiente e libera il principale ed essenzialmente l'unico oggetto della conoscenza e della rappresentazione artistica, era capace non solo di offrire all'uomo un'interpretazione olistica di tutta la realtà immanente, ma anche di dotarla una persona consapevole del valore della sua esistenza finita e terrena. Il famigerato ottimismo, che, secondo molti storici, era così caratteristico della cultura del Rinascimento maturo, aveva le sue radici epistemologiche, e quindi filologiche. Senza invadere i principi fondamentali del cristianesimo e rimanere persone sinceramente credenti, i primi scrittori del Rinascimento lessero il "Vangelo di Giovanni" in un modo completamente nuovo. La Parola, che prima apparteneva solo a Dio, è stata donata all'uomo, trasformata nell'arma più importante della conoscenza di sé e, in un certo senso, addirittura identificata con l'uomo. Era nella parola che la cultura umanistica del Rinascimento vedeva la vera espressione dell’umanità dell’uomo e, di conseguenza, della sua divinità. La parola umana si è improvvisamente rivelata una sorta di assoluto. “Conosco solo due dei”, disse Ermolao Barbaro, “Cristo e la letteratura”.

Tuttavia, assolutezza parola umana, indubbiamente, differiva per gli umanisti dall'assolutezza della Parola di Dio. Qui entriamo di nuovo in contatto con l'essenza della rivoluzione rivoluzionaria del Rinascimento e osserviamo di nuovo il passaggio dal pensiero trascendentale al pensiero immanente.

L'assolutezza della Parola che “era presso Dio” è l'assolutezza della parola di rivelazione e di grazia. La parola è assolutamente perché è fuori dal tempo, trascendentale e in questo senso eterna. L'assolutezza della parola umana è l'assoluta perfezione artistica della parola, un tempo realmente detta e impressa nella letteratura storicamente esistita, e quindi, in linea di principio, conoscibile e filologicamente recuperabile. L'assoluta perfezione di una tale parola presupponeva anche l'eternità, ma era un'eternità di immanenza che non escludeva né la storia né l'individualità umana storicamente specifica, che si esprimeva in una parola artisticamente perfetta. Fu con la parola umana che il tempo entrò nella cultura umanistica, una sorta di storicismo rinascimentale, che permise agli umanisti dei secoli XVIII-XIX di delimitare chiaramente la loro epoca dal Medioevo, e il Medioevo dall'antichità, così come la idea di far rivivere la vera umanità nell'uomo introducendo l'uomo alla letteratura classica, cioè a una parola artistica che ha ricevuto il significato di norma assoluta e di modello assoluto.

La letteratura della cultura antica divenne già tale letteratura per Petrarca. Per l’umanesimo emergente, che si opponeva polemicamente alla “barbarie” dello scientismo medievale e alla “ferocia” della morale feudale-cavalleresca, era naturalissimo cercare esempi assoluti di linguaggio umano e humanitatis esemplare nei poeti, negli oratori e nei poeti dell’antica Roma. moralisti. La rinascita della vera umanità nell'uomo era necessariamente associata in Italia alla rinascita della cultura dell'antichità classica. Ciò ha lasciato un'impronta notevole sull'ulteriore sviluppo della cultura europea, predeterminandone in gran parte l'immaginario: i suoi "mitologi", "stili". così come l'intero sistema dei suoi generi artistici.

Nessuno discute: Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano e Apuleio furono letti nell'Europa occidentale per tutto il Medioevo. Non sarebbe una grande esagerazione affermare che non solo la pia "Eneide", ma anche la seducente "Arte dell'Amore" erano familiari al comune chierico medievale incomparabilmente meglio che all'intellettuale più raffinato dei nostri giorni. Tuttavia, venerando l'autorità della lingua latina, i monaci medievali che scrivevano costantemente in essa, di regola, vedevano nel latino una forma letteraria impersonale, e alcuni Valery Maxim e Florus nella loro lingua, e quindi nella loro propria lingua significato spirituale non erano diversi per loro da Cicerone o Sallustio. Solo Francesco Petrarca, e proprio perché guardava la letteratura antica con gli occhi di poeta umanista, cioè la percepiva nelle forme di una coscienza non più teologica, ma filologica e artistica, cominciò a distinguere nella letteratura antica l'espressione assolutamente artistica del non solo della parola dell'antica Roma, ma dell'individualità umana.-ti di Cicerone, Tito Livio, Seneca, che comprende la loro specifica esperienza di vita e la loro esemplare saggezza di vita. Cicerone, Tito Livio, Seneca divennero per lui non meno, se non di più, persone vive dei suoi contemporanei, non toccate dalla parola umanistica. Per questo riteneva possibile scrivere loro lettere personali, parlando con loro come con i suoi amici più cari. È stato sicuramente un gesto. Ma il gesto, per così dire, è profondamente ideologico. È stato generato dall'originalità storica dell'umanesimo rinascimentale e indicava direttamente questa originalità. Petrarca contrapponeva la letteratura della cultura antica a quella astratta, impersonale, morta e quindi, dal punto di vista di un umanista, al linguaggio “barbaro” delle scienze naturali averroiste, della fisica parigina e della “dialettica” di Oxford. Dal punto di vista dell'umanista rinascimentale, non era la vita ad essere assurda, ma la filosofia e la scienza, che ignoravano la vita vivente della parola che incarnava una persona specifica. Difficilmente è possibile sopravvalutare il significato culturale di questo tipo di posizione. Notando il ruolo rivoluzionario di Petrarca nello sviluppo spirituale dell'Europa, Eugenio Garen scrive: “Il ritorno agli auctores, verso il quale Dante era già propenso, trovò in Petrarca il suo incettore, il quale seppe coniugare la sistematica restaurazione dell'antichità con la difesa dell'antica gran parte della cultura umana: gli studia humanitatis si rivelarono con lui rivolti contro un logica disumana e disumanizzante. La forza di Petrarca sta proprio nel fatto di aver saputo trasformare lo studio dell'eloquenza, cioè della retorica, in uno studio sistematico degli antichi, cioè nella conoscenza dell'umanità nella sua manifestazione esemplare - nella scienza dell'uomo vivente nel tempo e nella memoria al di là di quegli smembramenti a cui la psicologia aristotelica ha sottoposto la personalità umana” 8 .

Garen parla innanzitutto della missione culturale di Petrarca, che si rivelò enorme. Uno dei risultati più importanti del passaggio dalla trascendenza teologica all'immanenza umanistica fu che nei secoli XIV-XV sorse una nuova letteratura europea in Italia, Francia e Germania. Il Rinascimento italiano non è stato un restauro museale dell’antica Roma ideali artistici, né una riabilitazione anticristiana, “pagana” della carne, né semplicemente un forte aumento della poesia e dell'arte: questa fu la nascita della prima cultura nazionale nella storia d'Europa. L’umanesimo individualista e antropocentrico, operante con le parole e rivestito delle forme della filologia classica studia humanitatis, incarnava l’autocoscienza nazionale che stava nascendo e progressivamente formandosi in Italia. Petrarca, Boccaccio e i loro numerosi seguaci nel XV secolo resuscitarono diligentemente il linguaggio di Virgilio, Ovidio e Cicerone, non solo perché videro nello stile dell'Eneide, delle Metamorfosi e dei Discorsi contro Catilina l'incarnazione ideale dell'individualità umana e dell'humanitas dei loro creatori: lo fecero anche perché veneravano sinceramente la lingua di Virgilio, Ovidio e Cicerone come lingua letteraria dell'Italia antica, distorta quasi al di là del riconoscimento nell'era della frammentazione feudale, della “barbarie” medievale e del declino economico di Roma. Non si dovrebbero vedere in questo solo illusioni umanistiche generate dal sottosviluppo dello storicismo rinascimentale. L'attenzione alle norme linguistiche e stilistiche della lingua letteraria della Roma classica contribuì alla trasformazione dei comuni dialetti e dialetti romani autoctoni in volgare illustre, cioè non solo nella lingua alta, esemplare e popolare di un ristretto gruppo di scrittori che vivevano a Padova, Bologna o Firenze, ma nella lingua nazionale classica del popolo di tutta Italia, che a quel tempo non esisteva né come realtà economica, né come unità politico-statale, e nemmeno come etnia chiaramente espressa integrità. Primo nato in Italia Nazione europea si è realizzata, e quindi si è creata, nel mondo artistico della letteratura e, soprattutto, nel mondo poetico della lirica rinascimentale. La parola lirica ha fornito le forme più adeguate per l'autoconoscenza, l'autoaffermazione e l'autoespressione del nuovo "scoperto" internamente libero e sovrano personalità umana. Tra la formazione della coscienza nazionale nell’Italia rinascimentale e la “scoperta dell’uomo” umanistica non vi era un nesso meno stretto e storicamente non meno necessario di quello tra la “scoperta dell’uomo” e la “rinascita dell’antichità classica”. Erano due facce dello stesso processo culturale e storico. Il fatto che per Petrarca il concetto di “poesia” abbracciasse sia la poesia stessa che la nuova filologia, storia, moralità e, in generale, tutte le scienze legate all'uomo e all'umanità, aveva un proprio modello interno che si realizzava - e questo è molto caratteristico di la cultura individualistica del Rinascimento - nella sua individualità creativa e persino puramente umana. Petrarca seppe dare una nuova direzione all'intera cultura e all'educazione europea, soprattutto perché fu un brillante paroliere che divenne il fondatore della poesia nazionale italiana di stile classico. Ecco perché, nonostante tutto l’individualismo di Petrarca, nonostante il suo “narcisismo” e il disprezzo per la “marmaglia non illuminata” che è così caratteristico di tutti gli umanisti, è impossibile parlare della non-nazionalità di Petrarca. Nel corso di molti secoli del suo difficilissimo sviluppo nazionale popolo italiano vide nei testi rinascimentali del creatore della canzone politicamente programmatica “La mia Italia” la sua parola ideale. Ecco perché, come scriveva Ugo Foscolo, “nessuna delle parole usate da Petrarca divenne obsoleta”. Questa non è un'esagerazione. Il più grande storico della letteratura italiana e partecipe attivo del movimento di liberazione nazionale risorgimentale, Francesco De Sanctis, ha parlato del poeta Petrarca: “Egli raggiunse una tale sottigliezza di mezzi espressivi in ​​cui la lingua italiana, lo stile, il verso, che prima erano in uno stadio di continua perfezione, le novità e le formazioni acquisirono la loro forma finale e stabile, che servì da modello per i secoli successivi. La lingua della poesia italiana resta ancora oggi la stessa che Petrarca ce l'ha lasciata; nessuno riuscì a superarlo nell’arte della composizione e dello stile” 9.

La formazione delle grandi letterature nazionali, di regola, non si conclude con i classici, ma si apre con essi. Le forme classiche aiutano le persone a comprendere meglio se stesse, la propria forza, libertà, dignità e a delineare più chiaramente la direzione storica del loro ulteriore sviluppo spirituale. La posizione di Petrarca in questo senso è emblematica. Allo stesso tempo, è storicamente unico. La sua unicità rivela chiaramente l'unicità storica dell'intero Rinascimento dell'Europa occidentale.

La differenza tra la formazione dello stile nazionale classico in Italia durante il Rinascimento e la formazione dello stile classico in altre nuove letterature nazionali d'Europa stava, in particolare, nel fatto che in Italia la rivoluzione ideologica e la rivoluzione letteraria coincidevano nel tempo e sembravano sovrapporsi l'uno all'altro. Ciò spiega in gran parte, da un lato, la profondità e l’inedita storica della rivoluzione culturale ed estetica del Rinascimento, e, dall’altro, l’incomparabile significato che l’esperienza letteraria e artistica dell’Italia rinascimentale ha avuto per la formazione di tutte le grandi letterature nazionali. Europa, compresa la Russia. La coincidenza nell'opera di Petrarca e Boccaccio della rivoluzione ideologica portata avanti dall'umanesimo con la nascita rivoluzionaria dei classici nazionali “Il Libro dei Cantici” e “Il Decameron” non significa, però, che lo stile artistico classico dell'Italia Il Rinascimento è sorto senza l'assimilazione e lo sviluppo della cultura. Tale cultura assimilata dal Rinascimento nei secoli XVIII-XIX fu, in primo luogo, la cultura letteraria e linguistica del pre-Rinascimento 10, principalmente Dante, e in secondo luogo, la cultura dell'antichità dell'Europa occidentale, percepita - questo è già stato detto - come propria esperienza nazionale. Inoltre, il processo di formazione della letteratura nazionale classica in Italia con la creazione del “Libro dei Cantici” e del “Decameron” non si esaurisce, ma inizia solo. Gli immediati successori di Petrarca e Boccaccio si dedicarono interamente allo sviluppo di una nuova ideologia e cultura umanistica. Da qualche tempo abbandonano quasi del tutto il linguaggio popolare, anche nelle forme di quel volgare illustre, che fu creato da Dante, Petrarca, Boccaccio e, isolando gli studia humanitatis dalla “poesia” petrarchesca, concentrano tutti i loro sforzi sulla realtà filologica lato dell’umanesimo rinascimentale. Ma questo non ne fa affatto dei pedanti, degli antiquari e nemmeno dei “puri filologi”. La cultura nazionale si sta sviluppando in Italia proprio nella direzione che le ha dato il paroliere Petrarca. La fine del XIV e la prima metà del XV secolo in Italia furono piene non tanto di scoperte sensazionali di nuovi testi antichi, ma della resurrezione di grandi individui creativi, concentrandosi sulla cui umanità gli umanisti formarono gli ideali classici della cultura europea. Un ruolo enorme qui fu svolto dalla letteratura greca antica, senza la quale, come dirà più tardi Leone Tolstoj in una lettera a Fet, "non c'è educazione", e sulla quale gli umanisti italiani attaccarono con tanto più fervore perché ricordavano che la letteratura ellenica fu considerato un esempio classico anche da classici immensamente venerati come Terenzio, Cicerone, Orazio e Virgilio. Quando lo studioso bizantino Manuel Chrysolorus apparve a Firenze nel 1396, aveva molti studenti entusiasti. Leonardo Bruni lo ricorderà più tardi: “Con vivacità giovanile, spesso mi dicevo: c'è l'opportunità di contemplare Omero, Platone, Demostene, di parlare con altri poeti, filosofi e oratori, di saziarsi del loro meraviglioso insegnamento. privarti di questo? "Quale vantaggio per la conoscenza, quale accesso alla fama, quanto piacere deriverai dalla conoscenza della lingua greca!... Spinto da ciò, mi dedicai completamente a Crisolor con tale ardore per l'apprendimento che anche di notte, nel sonno, sono occupato con ciò che ho imparato durante il giorno." .

Anche Tolstoj, nel periodo immediatamente precedente alla creazione del suo romanzo più classico, parlava greco nel sonno. Questo fatto di per sé sembra insignificante e, probabilmente, può sembrare una coincidenza puramente casuale. Ma se introdotto in un contesto storico ampio, acquista significato e significato. Nella sua lettera a Fet, Tolstoj non ritenne necessario spiegare esattamente quali siano le “chiare risposte” alle domande che lo tormentavano in quel momento: “che cos'è la conoscenza?”, “come acquisirla?” , "a cosa serve?" gli diede lo studio della lingua greca. Tuttavia, che tipo di risposte fossero queste e perché la futura autrice di Anna Karenina avesse bisogno del linguaggio di Omero e Platone non è difficile da immaginare, ricordando come si è sviluppata storicamente la cultura umanistica del Rinascimento dell'Europa occidentale.

Nel definire il periodo che va dalla fine del XIV secolo alla metà del XV secolo “il secolo senza poesia”, Benedetto Croce aveva ragione solo in senso strettamente pragmatico. Dopo la morte di Petrarca e Boccaccio in Italia, la grande letteratura in volgare si estinse effettivamente per un po', ma l'umanesimo filologico del XV secolo continuò a conservare il carattere di una conoscenza prevalentemente poetica del mondo e dell'uomo. Una nuova e ancora più ampia ondata letteraria e artistica del Rinascimento classico della fine del XV e dell'inizio del XVI secolo maturò nel profondo degli studia humanitatis. L'assimilazione della lingua di Omero, Senofonte, dei grandi tragediografi ateniesi e soprattutto di Platone non solo espanse ideologicamente l'umanesimo italiano, includendovi i problemi dell'ontologia, che fino alla metà del XV secolo rimasero sotto la giurisdizione della teologia ufficiale e della filosofia scolastica , ma rafforzandola ulteriormente, per così dire, l'arte ontologica della nuova cultura europea creata dagli umanisti. La filosofia di Marsilio Ficino suggeriva il panteismo e audaci conclusioni scientifiche naturali, ma lo stesso Ficino - e questo è molto tipico per l'umanesimo rinascimentale - non arrivò mai a tali conclusioni. Interessatosi in gioventù a Lucrezio, il fondatore dell'Accademia platonica fiorentina era molto lontano dal panteismo filosofico e da ogni tipo di filosofia naturale. “Il suo concetto dell'Universo”, sottolinea A. Kh. Gorfunkel, “non è filosofico naturale, ma piuttosto estetico. L’intera gerarchia cosmica della “teologia di Platone” è la base di un ordine mondiale armonioso, il dominio dell’ordine interno e la connessione in esso. L'amore, che permea l'intera gerarchia dell'esistenza di cinque gradi, è un'espressione di questa armonia interiore e bellezza dell'Universo, emanata da Dio, ma incarnata in tutte le creature ed entità di questo mondo" 11.

La filosofia umanistica dell'Accademia platonica si rivelò ancora più coerentemente antropocentrica dell'umanesimo filologico di Leonardo Bruni, Giannozzo Manetti e Lorenzo Valla. Quando si parla di antropocentrismo rinascimentale, viene spesso citato Giovanni Pico della Mirandola. Ma questo conte filosofico era già un vero artista e poeta. Sia Angelo Poliziano che il giovane Michelangelo furono trascinati nel circolo delle idee e dei concetti estetici dell’Accademia di Platone. La fisicità dell'uomo immanente, terreno, trasformata dall'umanesimo nel fine ultimo, principio e ideale, richiesto dall'ideologia rinascimentale, che idealizzava e mitizzava l'uomo, non solo in forme poetiche, ma anche estremamente plastiche. Ecco perché lo sviluppo coerente dell'umanesimo neoplatonico, prima filologico e poi filosofico, portò naturalmente alla fine del XV e all'inizio del XVI secolo, da un lato, alla completa riabilitazione estetica della poesia nel linguaggio popolare, alla consapevolezza della perfezione classica della parola popolare del "Libro dei Cantici" di Petrarca e del "Decamerone" di Boccaccia, alla trasformazione della loro lingua italiana nella stessa norma letteraria assoluta della lingua latina di Virgilio e Cicerone, e, dall'altro, a l'emergere e il rapido sviluppo in Italia di un'arte visiva qualitativamente nuova dell'Alto Rinascimento. Petrarca e Leonardo da Vinci non sono agli antipodi, ma due fasi storiche strutturalmente della stessa ideologia umanistica. Se il creatore delle poesie immortali su Laura poneva la poesia al di sopra di tutte le scienze, identificandola con l'esemplare saggezza umana conservata nella filosofia morale degli antichi, allora il creatore dell'Ultima Cena, amaramente deluso dai metodi matematici di comprensione del mondo, esaltò soprattutto la pittura, sostenendo che Solo Lei ha accesso a una verità così profonda sul mondo e sull'uomo, che nessuna scienza esatta e nessuna filosofia positiva potrà mai andare a fondo. I vantaggi della conoscenza scientifica e meccanicistica della natura rispetto alla conoscenza artistica, dal punto di vista di Leonardo, sono per lo più immaginari. “La pittura”, sosteneva, “si estende alla superficie, ai colori e alle figure di tutti gli oggetti creati dalla natura, e la filosofia penetra in questi corpi, considerando le loro proprietà. Ma non soddisfa la verità che raggiunge il pittore, che abbraccia autonomamente la prima verità”.

Una simile valutazione delle capacità cognitive della pittura rinascimentale oggi verrà probabilmente percepita come eccessivamente e ingiustificatamente gonfiata. Tuttavia conteneva molti meno errori storici di quanto potrebbe sembrare a prima vista. E il punto qui non è solo che è nella pittura dell'Alto Rinascimento, per le specifiche caratteristiche artistiche del suo stile idealizzante e classico, che la cultura filosofica antropocentrica dell'umanesimo italiano da Petrarca all'Accademia platonica fiorentina ha ricevuto la più completa realizzazione plastica. Qualcos'altro qui è molto più significativo: Leonardo da Vinci, Giorgione e Raffaello sono riusciti a raccontare una verità così grande sul mondo e sull'uomo, che è diventata non solo la più alta verità artistica del Rinascimento italiano, ma anche, in un certo senso, trasformata una verità estetica assoluta. Caratterizzando il Rinascimento, F. Engels ritenne necessario notare specificamente che a cavallo tra il XV e il XVI secolo “in Italia si verificò una fioritura dell'arte senza precedenti, che era, per così dire, un riflesso dell'antichità classica e che non avrebbe mai potuto essere nuovamente raggiunto” 12 . Nella pittura dell'Alto Rinascimento, l'individualismo dell'umanesimo rinascimentale raggiunse la sua massima completezza e, proprio per questo, fu ampiamente superato. Sulle tele di Leonardo e sugli affreschi di Raffaello, il contenuto popolare dello stile nazionale classico italiano si espanse verso l'universalità e l'umanità universale. Uno degli esempi più convincenti è la Madonna Sistina 13.

L’umanità universale e l’assolutezza estetica della “Madonna Sistina”, “La Gioconda”, “Venere dormiente”, ecc. spesso costrinsero i ricercatori culturali a ridurre l’umanesimo classico all’umanesimo antropocentrico rinascimentale e a limitare la portata della sua azione ai confini cronologici dei soli un classico del Rinascimento italiano. Apparentemente non ha senso essere d'accordo con questo. Ancora meno fondata è l'opinione che il Rinascimento italiano e il Rinascimento di altri paesi europei, a causa della loro dissomiglianza esterna, debbano essere fondamentalmente distinti. L’antropocentrismo caratterizzò non tanto la pienezza dell’umanesimo rinascimentale quanto l’“ingenuità” storica della sua prima, per così dire, fase giovanile. Ciò lo sapevano benissimo gli umanisti del Rinascimento maturo e soprattutto del tardo Rinascimento. Ricordando ciò che gli è stato insegnato a Wittenberg, Amleto dirà: “Che creatura magistrale è l'uomo! Che mente nobile! Quanto è illimitato nelle sue capacità, apparenze e movimenti! Quanto è preciso e meraviglioso in azione! Come assomiglia ad un angelo nella sua profonda comprensione! Come sembra una specie di dio! La bellezza dell'universo! La corona di tutti gli esseri viventi!

Tuttavia, Amleto non è d'accordo con tali idee rinascimentali sull'uomo, ma discute. Per lui sono oggetto di ironia. Inoltre, molto amaro: “Cos'è per me questa quintessenza della polvere? Non una sola persona mi rende felice...” Il precedente concetto umanistico è crollato e il mondo ha perso immediatamente la sua armonia cosmica: “Ultimamente, e perché, non lo so nemmeno, ho perso tutta la mia allegria, ho abbandonato tutto ciò che era consueto attività; e infatti la mia anima è così pesante che questo bel tempio, questa terra, mi sembra un promontorio deserto; questo baldacchino incomparabile, l'aria, vedi, questo firmamento magnificamente disteso, questo tetto maestoso rivestito di fuoco dorato, tutto questo non mi sembra altro che un nebbioso e pestilenziale accumulo di vapori.

Per Amleto, “l’uomo divino” ha cessato di essere il centro problema ideologico tempo. Lo stesso si può dire del creatore di Amleto, Shakespeare. In realtà, questa è l'unica ragione per cui la tragedia potrebbe sorgere nella nuova letteratura come un vero e proprio genere artistico. Le basi antropocentriche dello stile rinascimentale gli hanno fornito un'armonia classica, ma non hanno creato l'opportunità di penetrare nelle profondità dei conflitti reali e tragici.

Tuttavia, da ciò non consegue che Shakespeare, avendo perso l'idillio rinascimentale caratteristico del primo e maturo Rinascimento italiano, abbia cessato di essere un umanista classico o che le sue grandi tragedie debbano essere portate oltre i confini della cultura rinascimentale. La natura sociale illusoria dell'idillio è stata esteticamente riconosciuta dagli umanisti anche al livello della coscienza rinascimentale che ha creato questo idillio. “L’estetica del Rinascimento”, sottolinea A.F. Losev, “possedeva una proprietà notevole che non era presente nell’estetica successiva del mondo borghese-capitalista: conosceva e sentiva tutti i limiti del soggetto umano isolato. E questo lasciò per sempre un’impronta tragica su tutto l’elemento infinitamente rivoluzionario dell’individualismo rinascimentale” 14. Nel XVI secolo, a seguito della crisi dell’umanesimo antropocentrico nella letteratura e nelle arti visive, prima in Italia e poi in altri paesi dell’Europa occidentale, si afferma il manierismo e il cosiddetto “umanesimo tragico” di Machiavelli, Michelangelo, Tasso, Nascono Cervantes e, soprattutto, Shakespeare 15 . Ma entrambi questi fenomeni - manierismo e “umanesimo tragico” - si sviluppano entro i confini ideologici del Rinascimento, sebbene alcune componenti stilistiche del Barocco nell'arte del Rinascimento maturo indubbiamente maturino.

Ma l’“umanesimo tragico” di Cervantes e di Shakespeare, che completa la cultura del Rinascimento, non rappresenta il punto estremo dello sviluppo storico dell’umanesimo classico. Il crollo dell'umanesimo antropocentrico del Rinascimento classico italiano e la sostituzione del suo caratteristico rapporto di formazione dello stile "uomo - uomo" con relazioni di formazione dello stile: "uomo - stato", "uomo - chiesa", "uomo - società" hanno fatto non portare alla perdita dell’umanesimo classico della sua certezza strutturale e individualistica (poiché né lo Stato, né la chiesa, né la società erano considerati nei secoli XVI-XVIII come fenomeni trascendentali rispetto all’uomo), né alla diminuzione del ruolo dell’umanesimo nello sviluppo culturale e letterario dell'Europa. In un certo senso questo ruolo si è addirittura ampliato. Se durante il Rinascimento lo stile classico nazionale fu creato solo nella letteratura e nelle belle arti dell'Italia rinascimentale, e in Francia, Spagna e Inghilterra a quel tempo si formarono principalmente solo i prerequisiti culturali e ideologici per l'emergere degli stili classici nazionali, quindi nel XVII e poi nel XVIII secolo nell’Europa occidentale ciò stava già accadendo tutta la linea rivoluzioni artistiche e stilistiche, a seguito delle quali alcuni popoli europei hanno l'opportunità di realizzarsi a livello nazionale nella nuova letteratura di uno stile più classico. Queste rivoluzioni si realizzano sulla base della grande rivoluzione spirituale del Rinascimento italiano, ma si svolgono oltre i confini storici del Rinascimento. In questo momento, l'influenza dell'Italia sulla letteratura dell'Europa occidentale non divenne così determinante come nel XVI secolo, ma non svanì. Le parole di Gogol incluse nell'epigrafe avrebbero potuto essere pronunciate molto prima di lui da molti grandi scrittori dell'Europa occidentale. Fu proprio l'umanesimo classico che si sviluppò nel profondo della letteratura del Rinascimento italiano con la sua caratteristica concezione individualistica dell'uomo a predeterminare l'originalità artistica dei classici nazionali del cosiddetto classicismo di Racine e Molière, del barocco di Calderon e di Quevedo, il realismo educativo di Defoe e Fielding, il neoclassicismo di Weimar di Schiller e Goethe 16. È stato l’umanesimo classico a dare alla cultura artistica europea quell’unità ideologica e ideologico-estetica interna, che ci permette oggi di parlare della cultura dell’Europa come una sorta di fenomeno storico davvero unico e allo stesso tempo abbastanza definito.

Tuttavia, se siamo d’accordo sul fatto che l’inizio dell’umanesimo classico fu il Rinascimento, allora dove e quando dovremmo cercare la sua fine, cioè quel confine culturale e storico oltre il quale l’umanesimo classico acquisisce caratteristiche strutturali fondamentalmente nuove o cessa di essere del tutto umanesimo?

La posizione della maggior parte degli scienziati occidentali moderni in questo caso sembra abbastanza definita. La formula del famoso storico italiano Delio Cantimori “Da Petrarca a Rousseau”, dopo un'approfondita discussione, fu accettata da Franco Venturi e rafforzata dall'autorità di Garen 17.

Questa posizione può essere compresa. A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, la rivoluzione industriale in Inghilterra, il trionfo politico del terzo stato in Francia e la rivolta estetica dei romantici inglesi, francesi e tedeschi non solo distrussero il sistema dei generi letterari e artistici creato durante il periodo Rinascimento in Italia, ma ha anche influenzato notevolmente l'autodefinizione: l'emergere di un intellettuale e umanista dell'Europa occidentale (poeta, artista, filosofo, moralista) nel mondo borghese che già lo circonda da vicino. L'interesse per la società e i suoi problemi socioeconomici spinge le persone in secondo piano. L’umanesimo classico viene sostituito dal socialismo, che è l’altra faccia del capitalismo trionfante. L’“uomo divino” di una volta è ora considerato solo come “la totalità di tutte le relazioni sociali”. Balzac si definisce dottore in scienze sociali e non senza ragione. F. Engels ha assicurato che dalla “Commedia umana” di Balzac “ha imparato di più anche nel senso dei dettagli economici (ad esempio, sulla ridistribuzione dei beni mobili e immobili dopo la rivoluzione) che dai libri di tutti gli storici, economisti e economisti specializzati statistici di questo periodo messi insieme." All'inizio del XIX secolo tradizione umanistica in Occidente, per così dire, era teso, e l’ammirazione di Stendhal per i personaggi integri generati dall’Italia lo sottolineava non meno delle paure di Hoffmann nei confronti dell’uomo della sabbia. “Le basi su cui poggiava la società del XIX secolo”, ha scritto N. Berdyaev, “hanno rivelato la loro incoerenza e provocato una reazione. L’umanesimo e l’individualismo non potevano decidere il destino della società umana; dovevano disintegrarsi. Invece dell’immagine rinascimentale di una persona libera, sarebbe dovuta apparire l’immagine antirinascimentale di un nuovo organismo, o meglio di un meccanismo, che tutto subordina e tutto assorbe” 18.

Tuttavia difficilmente sarebbe corretto considerare l’Illuminismo dell’Europa occidentale e le idee di Rousseau come le ultime manifestazioni dell’umanesimo classico. In questo caso, sarebbe necessario escludere dalle forme classiche dell'umanesimo una delle più grandi letterature classiche d'Europa, la letteratura russa del XIX secolo, che, da un lato, impoverirebbe seriamente le nostre idee sulla cultura europea nella sua integrità e unità storica, e d'altra parte un'altra, distorcerebbero in modo molto significativo la prospettiva inversa in cui noi, con tutto il nostro storicismo, necessariamente ora percepiamo sia la letteratura del Rinascimento italiano che l'intera cultura europea del lontano e immediato passato .

La ricerca di nuovi quadri narrativi ha portato il pensiero artistico russo alla creazione di opere assolutamente originali e lo ha portato sulla via dell'umanesimo classico europeo. Questo non è stato un passo indietro, ma verso il futuro. Nel XIX secolo, non solo la letteratura russa acquisì l'umanesimo classico, ma anche l'umanesimo classico, in un certo senso, trovò la letteratura russa, continuando in essa la sua ulteriore vita storica. Le forme di narrazione realistica non vincolavano in alcun modo l'ideologia umanistica; al contrario, gli diedero una portata senza precedenti, resuscitando significati rinascimentali a lungo dimenticati in Occidente. È interessante notare che già i primi ricercatori dell'Europa occidentale della letteratura classica russa, in particolare E. Hennequin, scrissero con stupore e persino con una certa disapprovazione sull'antropocentrismo della letteratura russa, sul fatto che gli scrittori russi riducono il mondo intero all'uomo e con insistenza valutare la vita da un punto di vista esclusivamente umano. “Resurrezione” non è solo il titolo del romanzo: è il tema principale di tutta la letteratura classica russa iniziata da Pushkin e Gogol. Tutte le sue opere principali raffigurano la risurrezione o, in altre parole, la rinascita della vera umanità nell'uomo. Dostoevskij lo ha detto perfettamente. Definendo il suo compito e allo stesso tempo isolando la sua opera dalle forme contemporanee della letteratura dell'Europa occidentale, scrisse: “Con completo realismo, trova una persona in una persona. Questa è una caratteristica russa per eccellenza, e in questo senso, ovviamente, sono una persona del popolo”.

L’ultima precisazione è particolarmente significativa. L'umanesimo era percepito da Dostoevskij come un fenomeno specificamente russo e addirittura veramente nazionale. Vedere in questo nazionalismo o messianismo è assurdo. Essere uno scrittore nazionale russo (e un russo in generale) significava per Dostoevskij non solo essere molto russo, ma anche molto europeo, e in misura molto maggiore europeo di tutti gli scrittori europei contemporanei di Inghilterra, Francia e Germania. Molto è stato scritto al riguardo in “I posseduti”, in “L’adolescente” e in “I fratelli Karamazov”. Ciò è affermato nel modo più chiaro e migliore nel famoso discorso su Pushkin. Il fondatore della letteratura russa classica nazionale, che determinò gli ulteriori percorsi e le forme del suo sviluppo, fu percepito da Dostoevskij come un genio ancora più universale persino degli artisti e degli umanisti del Rinascimento italiano: in confronto a loro, Pushkin possedeva una disumanità ancora maggiore .

Tuttavia, non si trattava solo di Pushkin. L'intera umanità, secondo Dostoevskij, non è solo l'abilità individuale di un genio davvero unico. “Questa capacità”, spiegò Dostoevskij, “è una capacità tutta russa, nazionale, e Pushkin la condivide solo con tutto il nostro popolo, e, come artista più perfetto, è anche l’esponente più perfetto di questa capacità, almeno nella sua forma attività, nell’attività dell’artista”. Ecco perché, continuava Dostoevskij, «il nostro desiderio d'Europa, pur con tutte le sue passioni ed estremismi, non era solo legale e ragionevole nelle sue fondamenta, ma anche popolare, coincidendo completamente con il desiderio dello spirito stesso del popolo, e in la fine ha senza dubbio un obiettivo più alto. In russo Letteratura ottocentesca secolo, l’umanesimo europeo raggiunse universalità e compimento.

Non sorprende che più di una volta si sia tentato di affermare che anche la Russia ha avuto un proprio Rinascimento, se non del tutto identico a quello italiano, comunque molto simile ad esso. “Sì”, dichiarò fiducioso Vladislav Khodasevich, “all’inizio del XIX secolo ci fu un momento in Russia in cui i più grandi dei suoi artisti, senza “stilizzare” o imitare, ma naturalmente e involontariamente, esclusivamente per necessità interna, per un momento fece rivivere il Rinascimento stesso<...>La Russia, nella persona di Pushkin, creatore di “Gavriliad”, ha vissuto un Rinascimento” 20. E subito dopo, Khodasevich spiega inequivocabilmente quale Rinascimento ha in mente: “La gioia pagana, l'ammirazione per il fascino “demoniaco” del mondo, introdotte nello sviluppo di temi biblici ed evangelici, costituisce una delle proprietà distintive del Rinascimento italiano .”

G. A. Gukovsky e Lydia Ginzburg scrissero del Rinascimento non solo del Gavriliad, ma di tutta la poesia del maturo Pushkin. Il tentativo di trovare segni della cultura del Rinascimento, non solo in Pushkin, ma in tutta la letteratura russa del XVIII e dell'inizio del XIX secolo, è stato intrapreso relativamente di recente nella scienza, ma non ha avuto conseguenze gravi 21. E non è sorprendente. Nientemeno che lo stesso Pushkin ha parlato dell'assenza del Rinascimento in Russia:

“Per molto tempo la Russia è rimasta estranea all’Europa. Avendo accettato la luce del cristianesimo da Bisanzio, non partecipò né alle rivoluzioni politiche né alle attività intellettuali del mondo cattolico romano. Il grande Rinascimento non ha avuto alcuna influenza su di esso; la cavalleria non ispirava ai nostri antenati puro diletto, e lo shock benefico prodotto dalle Crociate non risuonava nelle terre dell’insensibile nord…” 22.

Non c'è stato alcun Rinascimento in Russia. Tuttavia – e questo è molto significativo – che molto prima che Jules Michelet “scoprisse il Rinascimento” e Jacob Burckhardt scrivesse il suo famoso libro, Pushkin chiamò la rivoluzione culturale iniziata nel XIV secolo in Italia “il grande Rinascimento” e ne sottolineò il tragico ruolo della Russia nel suo emergere. “La Russia”, scrisse, “aveva un destino elevato... Le sue vaste pianure assorbirono il potere dei Mongoli e fermarono la loro invasione ai confini dell'Europa; I barbari non osarono lasciare la Rus' schiava alle loro spalle e tornarono nelle steppe del loro est. L’Illuminismo che ne risultò fu salvato da una Russia lacerata e morente...”

Questa idea era cara a Pushkin. Pertanto, ha ritenuto necessario aggiungere una nota alle parole appena citate: “E non dalla Polonia, come hanno recentemente affermato le riviste europee; ma l’Europa nei confronti della Russia è sempre stata tanto ignorante quanto ingrata”.

Non essendo un ammiratore convinto del Medioevo russo con il suo predominio quasi indiviso sulla letteratura ecclesiastica in lingua slava ecclesiastica antica, Pushkin credeva che "le controversie tra il Granducato e gli appannaggi, l'autocrazia con le libertà delle città, l'autocrazia con i boiardi e la conquista con identità nazionale non favorivano il libero sviluppo dell’istruzione” 23 . Tuttavia, era fortemente in disaccordo con la valutazione nettamente negativa di Chaadaev delle fonti greche e ortodosse della cultura medievale russa: “Dai Greci abbiamo preso il Vangelo e le tradizioni, ma non lo spirito di meschinità e il dibattito verbale. La morale di Bisanzio non è mai stata la morale di Kiev. Il nostro clero, prima di Teofane, era degno di rispetto, non si è mai macchiato delle bassezze del papismo e, naturalmente, non avrebbe mai provocato una riforma nel momento in cui l'umanità aveva più bisogno di unità»24.

Pushkin era convinto non solo della necessità, ma anche della realtà del ripristino dell'unità dell'Europa cristiana. “Per quanto riguarda la nostra insignificanza storica”, scrisse a Chaadaev, “non posso assolutamente essere d'accordo con te.<...>Non trovi qualcosa di significativo nell'attuale situazione in Russia, qualcosa che stupirà il futuro storico? Pensi che ci porterà fuori dall’Europa? 25

Pushkin non ha separato la Russia contemporanea dall’Europa occidentale. Come Dante, Petrarca e molti altri grandi poeti, era consapevole del suo ruolo e significato storico. La Russia che aveva in mente era la Russia di Pushkin e del suo circolo più stretto, la Russia, che continuava la cultura umanistica dell'Europa occidentale e nella quale improvvisamente, per qualche tempo, le idee e gli ideali generati dal Rinascimento italiano cominciarono a rinascere. Ecco perché Pushkin definì l'Italia “santa” ed ecco perché l'Italia non tanto reale quanto ideale occupava un posto così importante nella coscienza artistica dei grandi scrittori russi del XIX secolo. Nell '"estratto" "Roma", Gogol scriverà di un principe romano, depresso dal pietoso stato dell'Italia nel XIX secolo: "Ma un pensiero confortante e maestoso venne nella sua anima da solo, e si sentì con un altro , istinto superiore che l'Italia non era morta, che poteva udire il suo irresistibile eterno dominio sul mondo intero, che su di lei aleggia eternamente il suo grande genio, che già fin dal principio le legava nel petto le sorti dell'Europa...” E ancora, un po' oltre:

“Alla fine, a causa del suo stesso degrado e distruzione, ora governa minacciosamente il mondo; questi maestosi miracoli architettonici restavano come fantasmi a rimproverare all’Europa il suo meschino lusso cinese, la sua giocattolosa frammentazione del pensiero. E questa meravigliosa collezione di mondi antiquati e il fascino di collegarli con la natura sempre in fiore: tutto esiste per risvegliare il mondo, in modo che un residente del Nord, come attraverso un sogno, a volte immagini questo Sud, così che il suo sogno potesse strapparlo di mezzo a una vita fredda, dedita ad occupazioni che induriscono l'anima, lo avrebbe strappato di lì, balenandogli una prospettiva inaspettatamente ampia, un Colosseo notturno sotto la luna, un bellissimo morente Venezia, splendore celeste senza precedenti e baci caldi dell'aria meravigliosa, affinché almeno una volta nella vita fosse una persona meravigliosa” (Il corsivo è nostro) .—R.H.).

Una persona davvero meravigliosa, la vera incarnazione degli ideali umanistici generati dal Rinascimento italiano per Gogol fu Pushkin: “Pushkin è un fenomeno straordinario e, forse, l'unico fenomeno dello spirito russo: questo è l'uomo russo nel suo sviluppo finale, in cui, forse, apparirà tra duecento anni.

Questa profezia, a quanto pare, non è destinata a realizzarsi. Ma non è questo l'importante. Ciò che conta è che sia stato fatto. Contiene il pathos interiore dei classici russi. Rispetto ai colleghi stranieri, il ricercatore russo di letteratura italiana - e soprattutto di letteratura del Rinascimento italiano - ha un vantaggio molto importante: può contare sulla propria tradizione nazionale, relativamente recente, la cui memoria non è stata ancora del tutto cancellata 26.

Indubbiamente, non si può parlare di identificazione della letteratura russa, anche nella sua forma più “rinascimentale”, l’era di Pushkin, con la letteratura del Rinascimento dell’Europa occidentale. Una tale identificazione si rivelerebbe inevitabilmente ingenuamente antistorica e impedirebbe di comprendere correttamente il significato duraturo dei valori umanistici e artistici di Pushkin, Gogol, Tolstoj e dell'arte del Rinascimento dell'Europa occidentale. Tuttavia, i confronti tipologici e funzionali della letteratura russa classica - non solo del primo terzo, ma dell'intero XIX secolo - con la cultura umanistica del Rinascimento dell'Europa occidentale in generale e con la cultura rinascimentale italiana in particolare possono rivelarsi abbastanza promettenti, soprattutto se realizzati non tanto a livello di forma artistica, quanto a livello di concetti del mondo, dell'uomo, della poesia, dell'arte.

Né Guerra e pace né Anna Karenina, ovviamente, somigliano in alcun modo all'Orlando furioso o all'Elegia di Madonna Fiammetta. Tuttavia, si può sostenere che quelle pagine sconvolgenti in cui Tolstoj descrive come, guardando il firmamento azzurro, Konstantin Levin ravviva la sua integrità interna, accettando la comprensione popolare di fede, bontà, bellezza e armonia cosmica del mondo, niente di peggio , e, forse, anche molto meglio di tanti studi particolari, possono spiegare non solo il contenuto profondamente umano della proporzionalità classica di Raffaello, ma anche il significato puramente umanistico della polemica del vecchio Petrarca con gli averroisti padovani, i quali, stando sul Posizione del positivismo scolastico, cercarono di determinare la libertà umana e di ridurre la conoscenza della vita a operazioni logiche formali.

Ci sono molti di questi esempi. L'intera opera di Leone Tolstoj può essere considerata una sorta di "modello" storico della cultura umanistica del Rinascimento dal suo inizio, dal mattino fino al tramonto, quando le forme classiche del Rinascimento italiano subirono cambiamenti significativi sotto l'influenza di entrambi la Riforma luterana e quella popolare-contadina.

Con un successo ancora maggiore, il ruolo di tale “modello” potrebbe essere svolto da tutta la letteratura classica russa, da Alexander Pushkin ad Alexander Blok, il creatore del poema “I Dodici”, quest’ultima utopia dell’umanesimo classico, e l’autore del articolo visionario “Il crollo dell’umanesimo”, Il genio dei “Dodici” spiega molto. In esso Blok scrive: “L'equilibrio tra uomo e natura, tra vita e arte, tra scienza e musica, tra civiltà e cultura è andato perduto - l'equilibrio che ha vissuto e respirato il grande movimento dell'umanesimo. L'umanesimo ha perso il suo stile; lo stile è ritmo; L’umanesimo che ha perso il suo ritmo ha perso anche la sua integrità”. E un po’ oltre: “l’intera storia del XIX secolo è la storia della febbrile costruzione di una civiltà umana e del parallelo crollo delle speranze che “le masse col tempo si civilizzeranno” 27.

L'esperienza artistica di Anatole France, Romain Rolland, Stefan Zweig e di altri grandi scrittori, che, a quanto pare, fino a poco tempo fa erano considerati grandi umanisti europei, dimostrano in modo convincente che Blok ha ragione. Alexander Blok non aveva bisogno di leggere Oswald Spengler o Jose Ortega y Gasset. Fu forse l'ultimo brillante poeta russo dell'umanesimo europeo e quindi poté procedere dalla propria conoscenza di sé. L'inchino d'addio a Pushkin del creatore di "Poesie su una bella signora" che parte "nell'oscurità della notte" è simbolico e culturalmente molto significativo. La cultura dell'umanesimo europeo, iniziata in Italia, ha concluso la sua esistenza storica in Russia all'inizio del XX secolo. Non sorprende che il pensiero filosofico e religioso russo di quel tempo sentisse il crollo degli ideali dell'umanesimo europeo, se non più profondamente che in Occidente, almeno prima, molto più direttamente e, per così dire, anche più intimamente. Furono i portatori del “Rinascimento spirituale russo” (termine di N. A. Berdyaev) - P. Florensky, S. Bulgakov, N. Berdyaev e altri - i primi a parlare della necessità di una radicale rivalutazione della cultura del popolo italiano Rinascimento e l'inevitabilità del passaggio dall'umanesimo (da loro identificato principalmente con il Rinascimento) ad un nuovo Medioevo e ad una nuova trascendenza. L'ideale della Madonna Sistina fu da loro rifiutato, forse anche più decisamente che da Bazàrov e Pyotr Verkhovensky. Il Rinascimento italiano, sosteneva S. Bulgakov, “ha creato l'arte del genio umano, ma non di ispirazione religiosa. La sua bellezza non è la santità, ma quel principio ambiguo e demoniaco che copre il vuoto, e il suo sorriso gioca sulle labbra degli eroi di Leonard. La creazione di Raffaello si distingue per la sua tensione speciale; cerca di rivelare il principio della Theotokos attraverso questo ambiguo e già in questa ambiguità della bellezza peccaminosa.<...>Nell’immagine della Madonna, il sentimento dell’uomo, l’amore e la lussuria dell’uomo sono sottilmente sentiti. L'artista ha umanizzato troppo l'immagine del Beato...” (corsivo di S. Bulgakov) 28 .

I pensatori del “rinascimento religioso” russo descrissero in modo abbastanza accurato la catastrofe della cultura dell’umanesimo europeo, soprattutto quando riguardavano la letteratura e le belle arti contemporanee. Ma le loro idee sul nuovo Medioevo che sostituirà l’umanesimo, quando presumibilmente “all’interno della conoscenza, all’interno”. vita pubblica la volontà religiosa si risveglia”, erano ancora più utopistiche delle idee di Fourier o di Saint-Simon.

Il Nuovo Medioevo, almeno nelle forme in cui lo intendeva il “rinascimento religioso russo”, non ha avuto luogo. Nel XX secolo, la cultura europea è stata sostituita dalla cultura mondiale nelle convulsioni delle guerre e dei totalitarismi, e l’umanesimo europeo, durante la rivoluzione scientifica e tecnologica, è stato soppiantato da qualcosa come l’americanismo con la sua quasi totale atrofia del senso della storia, aggravata dalla il crollo dell’ideologia sovietica in Russia.

La creazione di una “Storia della letteratura italiana” nel nostro tempo, in cui il concetto stesso di “storia letteraria” è stato messo in discussione, può sembrare prematura. Tuttavia, come è accaduto più di una volta nella storia, i “pensieri intempestivi” molto spesso accadono in tempo. È stato il completamento della cultura europea a trasformarla in un fenomeno storico completo, che ora può essere studiato come dall'esterno, da una certa distanza, creando, se non la realtà, almeno la possibilità dell'oggettività scientifica. Scoprire cosa sia stata la cultura europea nella sua unità e integrità storica, ancor più organica dell'integrità dell'antichità greco-romana, rappresenta senza dubbio un certo interesse scientifico e, in una certa misura, morale ed estetico 29 . È più che naturale iniziare tale studio studiando la storia della letteratura italiana e il ruolo che l'umanesimo, formatosi all'interno della letteratura italiana, con le sue idee specifiche sull'uomo e sul suo posto nel mondo terreno, ha giocato nella creazione dell'unità europea. Come scrisse una volta A. N. Veselovsky, "studiare il declino e l'ascesa delle idee proprio alla fonte da cui scaturì il rinnovamento intellettuale dell'Europa sembra un compito allettante" 30 .

APPUNTI

1 Berdyaev N. Sentimento d'Italia. // Berdyaev N. Filosofia della creatività, della cultura e dell'arte, vol. 1. M., 1994. P. 367.

2 Veselovsky A. N. Articoli selezionati. L., 1939. P. 253.

3 Garin E. L'umanesimo italiano. Filosofia e la vita civile nel Rinascimento. Bari, 1965; Id. La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Firenze, 1961; Garen E. Problemi del Rinascimento italiano. M., 1986.

4 GramsciAntonio. Opere selezionate in tre volumi. T. 3. M., 1959. P. 170.

5Ibidem. Pag. 54.

6 Revyakina N.V. Problemi dell'uomo nell'umanesimo italiano della seconda metà del XIV - prima metà del XV secolo. M., 1977. P. 127.

7Losev A. F. Estetica del Rinascimento. M., 1978, pag. 94.

8 Garin E. Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo. Bari, 1975.

9 De Sanctis F. Storia della letteratura italiana. T. 1. M., 1963. P. 329.

10 Il Pre-Rinascimento (proto-Rinascimento) non è affatto un primo Rinascimento, come pensavano alcuni dei nostri studiosi di letteratura, e nemmeno un fenomeno paneuropeo. Naturalmente è impossibile parlare di un pre-rinascita che non sia seguito da un rinascimento. “Il Proto-Rinascimento”, ha scritto V. N. Lazarev, che ha introdotto questo concetto nell'uso scientifico, “è solo la preparazione del Rinascimento nel profondo della cultura medievale, è un'introduzione alla sua storia, senza la quale quest'ultima non può essere compresa. Questo è un fenomeno puramente italiano che non ha analoghi nell'intera cultura europea dei secoli XIII-XIV. E non importa quanti tentativi vengano fatti per tracciare parallelismi tra Niccolò Pisano, Arnolfo di Cambio e Giotto, da un lato, e gli scultori gotici che lavorarono a Reims, dall'altro, non sarà mai possibile dimostrare la loro parentela interna. Solo l’Italia ebbe Dante e Giotto nel XIV secolo”. (Lazarev V.N. L'origine del Rinascimento italiano. 1. L'arte del proto-rinascimento. M., 1956. P. 123).

11 Gorfunkel A. Kh. Umanesimo e filosofia naturale del Rinascimento italiano. M., 1977. P. 109.

12 Marx K., Engels F. Opere. T. 20. P. 346. (Il mio congedo. - R. Kh.). Abbiamo deciso di citare qui l'affermazione di F. Engels, una volta instancabilmente citata, non perché non simpatizziamo con lo sradicamento del dogmatismo precedente, ma solo perché questa affermazione ha acquisito una certa rilevanza ai nostri tempi, quando anche eminenti storici dell'arte hanno cominciato a farlo mettere in discussione l'assolutezza artistica della pittura dell'Alto Rinascimento. Confrontando due affreschi vaticani: “L'istituzione della Biblioteca Vaticana da parte di Papa Sisto IV” di Melozzo da Forlì e “La Scuola di Atene” di Raffaello, M. V. Alpatov scrive: “... Il rinomato Raffaello, generalmente riconosciuto, accanto al suo modesto predecessore, perde molto. Per uno spettatore moderno, cresciuto non con il Prix de Rome accademico, ma con le conquiste dell'impressionismo e del post-impressionismo, questo è ovvio a prima vista. Forse anche senza molte prove. (Alpatov M.V. Problemi artistici del Rinascimento italiano. M., 1976. P. 83). Si può notare che nel momento in cui F. Engels abbozzò la sua “Dialettica della natura”, gli erano note le conquiste artistiche degli impressionisti francesi e di Cezanne. Ma non è questo. Il punto sta nella percezione moderna delle più alte conquiste estetiche della cultura europea, che hanno perso per noi la loro necessità vitale.

13 Per la “Madonna Sistina” M. V. Alpatov fa un'eccezione, separandola non solo dall'Alto Rinascimento, ma anche dall'opera dello stesso Raffaello. Vede in esso il felice tentativo dell’artista “di evitare le convenzioni ufficiali, di elevarsi nei regni dell’alta contemplazione e dell’arte pura”. E ancora: “La Madonna Sistina è veramente il frutto di un'ispirazione felice, meravigliosa<...>Questa volta lui (cioè Raffaello - R.H.), a quanto pare, ha deciso lui stesso cosa era necessario affinché il fenomeno della pura femminilità e maternità sembrasse commisurato all'uomo, in modo che questo spettacolo non sembrasse qualcosa di straordinariamente soprannaturale, senza precedenti e incredibile, ma, al contrario, ispirava nello spettatore la fiducia che la vera essenza, l'idea stessa delle cose, gli fosse stata rivelata<...>In sostanza, “La Madonna Sistina” è la testimonianza dell’artista ai posteri, che apprezzarono molto il dipinto, ma non poterono mai confrontarsi con esso”. (Alpatov M.V. Opere citate. pp. 129-130). Qui M. V. Alpatov sembra ripetere involontariamente F. Engels.

14 Losev A.F. Estetica del Rinascimento... P. 64. Un esempio di ciò è, ancora una volta, la classica “Madonna Sistina”. La sua tragedia sta nella consapevolezza rinascimentale dei limiti dell'indipendenza individuale: la Vergine Maria non si limita a portare un bambino nel mondo, ma lo porta in un mondo che crocifiggerà suo figlio, e lei lo sa in anticipo.

15 Il concetto di “umanesimo tragico” è stato introdotto da A. A. Smirnov e divulgato nel suo articolo: Shakespeare, Rinascimento e Barocco. Sulla questione della natura e dello sviluppo dell'umanesimo shakespeariano // Smirnov A. Dalla storia dell'umanesimo dell'Europa occidentale. M.-L.: 1965. P. 181-206.

17 Cantimori D. Studi di storia. Torino, 1959; Venturi P. Utopia e riforma nell'illuminismo. Torino, 1970; Garin E. Dal Rinascimento all'illuminismo. Pisa, 1970.

18 Berdyaev N. Filosofia della creatività, cultura dell'arte, vol. 1. P. 394.

20 Khodasevich V. Opere complete. M., 1996, volume 2, pp.72-73.

21 Cfr. Makogonenko G.P. Il problema del Rinascimento e la letteratura russa. - "Letteratura russa", 1973, n. 4; Kozhinov V.V. Sui principi della costruzione della storia della letteratura (Note metodologiche) - Contesto 1972, M., 1973; È lui. Il Rinascimento nella letteratura russa (Risposta agli oppositori) - Questioni di letteratura, 1974, n. 8. D. S. Likhachev, G. M. Friedlender, E. N. Kupriyanova hanno discusso con il concetto di V. Kozhinov.

22 Pushkin A. S. Completo. collezione Operazione. T.VII. P.210.

23 Pushkin A. S. Completo. collezione Operazione. T.VII. P.210.

24 Pushkin A. S. Completo. collezione Operazione. TX P. 682.

25 Pushkin A. S. Completo. collezione Operazione. TX P. 689.

26 Anche un poeta così importante del postmodernismo, ma il postmodernismo russo, come Joseph Brodsky, percepiva ancora l’Italia in un modo molto europeo. “Cos’è per me l’Italia? chiede “Prima di tutto, da dove viene tutto questo?” Culla della cultura. Tutto è successo in Italia, e poi è salito oltralpe. Tutto a nord delle Alpi può essere considerato una sorta di Rinascimento. Ciò che accadde nella stessa Italia, ovviamente, fu anche una variazione rinascimentale su un tema greco, ma questa era già civiltà. E lì al Nord ci sono variazioni sul tema italiano, e non sempre riuscite”. (Brodsky I. Terreno accidentato. Viaggi con commenti. M., 1995. P. 183). La terminologia di I. Brodsky può essere contestata, ma il punto non è nella terminologia.

27 Blocco Alessandro. Opere raccolte. M.-L., 1962. T. 6. P. 94, 99.

28 Bulgakov S. N. Due incontri (1898-1924) (Da un taccuino). // Bulgakov S. N. Funziona. T. 2. M., 1993. P. 631-632.

29 Non molto tempo fa, Vittore Branca riteneva possibile scrivere sul valore vitale della poesia di Petrarca ai nostri giorni: “Di fronte al pericolo apocalittico dello scientismo, del tecnicismo, del consumismo – tre mostri che, apparentemente, minacciano l'esistenza stessa uomo e l’umanità, capiamo perché l’appello di Pet-rarka valori duraturi nell’uomo e nella sua coscienza riceve una risposta decisiva laddove tale pericolo è più forte e inevitabile”. (Branca V. Giudizio sul Rinascimento italiano da Petrarca a Poliziano. - “Letteratura Straniera”, 1979, n. 7).

30 Veselovsky A. N. Articoli selezionati. P.244.